Le manovre militari congiunte tra Usa e Armenia hanno luogo in un momento di difficoltà tra il Paese caucasico e il suo protettore russo. Secondo un percorso inverso a quello della vicina Georgia
La distanza tra l’Armenia e il suo oramai ex storico alleato, ovvero la Federazione Russa, si fa sempre più ampia. Lo scorso lunedì 15 luglio le forze armate di Yerevan hanno avviato esercitazioni militari congiunte con gli Stati Uniti, una mossa che fino a pochi anni fa sarebbe stata considerata come impensabile dagli osservatori mondiali. Secondo quanto detto dal ministro della Difesa armeno Suren Papikyan queste esercitazioni, nome in codice “Eagle Partner”, mirano ad aumentare l’interoperabilità delle unità che partecipano alle missioni internazionali di mantenimento della pace, a condividere le best practices in termini di command and control e comunicazione tattica e migliorare la readiness delle forze armene. Di queste manovre si conosce la durata prevista, ovvero fino al 24 luglio, e a quali unità afferiscono i soldati ivi impegnati (forze di pace armene, militari dell’esercito americano di stanza in Europa e in Africa, e Guardia Nazionale del Kansas), ma non è stato chiarito il numero esatto di truppe coinvolte.
Seppure questa non sia la prima edizione di questa specifica esercitazione, che si era tenuta già l’anno scorso (venendo già allora definita come una mossa “ostile” da parte dei funzionari russi), essa avviene in un contesto particolare per via della brusca virata nelle relazioni diplomatiche tra Yerevan e Mosca, avviatasi quando l’anno scorso, l’Azerbaigian ha intrapreso una fulminea campagna militare per completare la conquista della regione del Karabakh. Le autorità armene hanno accusato le forze di pace russe, dispiegate nell’area in seguito al conflitto scoppiato nel 2020, di non aver fatto nulla per rintuzzare l’assalto dell’Azerbaigian. Mosca ha respinto le accuse, sostenendo che le sue truppe non avevano il mandato per intervenire.
Su queste basi si è sviluppato nei mesi successivi un botta e risposta tra i due Paesi. A Febbraio, il primo ministro armeno Nikol Pashynian ha annunciato una sospensione nella partecipazione dell’Armenia all’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva (quella che in maniera semplicistica si potrebbe definire la controparte post-sovietica della Nato), denunciando l’incapacità di esso di garantire la sicurezza dei suoi membri. Poche settimane prima, in un’altra mossa non gradita dal Cremlino, Tbilisi era diventata membro ufficiale di quella Corte Penale Internazionale che l’anno prima aveva emanato un mandato d’arresto per Vladimir Putin con l’accusa di aver commesso crimini di guerra (e che nel giugno 2024 avrebbe emesso lo stesso mandato anche l’ex ministro della Difesa Sergei Shoigu e il Capo di Stato Maggiore Valery Gerasimov). Non stupisce quindi che in primavera Mosca abbia deciso di ritirare l’intero contingente di peacekeeping dispiegato nel Nagorno Karabakh, in violazione degli accordi di cessate il fuoco risalenti al 2020. Spingendo l’esecutivo di Pashynian a valutare addirittura di chiudere la base militare permanente che le forze armate russe hanno in territorio armeno. Parallelamente a questo processo di sganciamento da Mosca, il Paese caucasico si è avvicinato sempre di più al blocco euroatlantico. Motivo per cui la presente edizione di “Eagle Partner” ha un significato diverso dalle altre.
Interessante notare come, sempre nel Caucaso, stia succedendo un fatto simile ma opposto. Circa dieci giorni fa gli Stati Uniti hanno deciso di annullare l’esercitazione militare “Noble partner” che si sarebbe dovuta svolgere congiuntamente con le forze armate georgiane dal 25 luglio al 6 agosto, in seguito alla decisione del parlamento georgiano di approvare leggi di carattere illiberale, come la foreign agents law, all’interno di un più generale percorso di riavvicinamento al Cremlino.