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Evitare di polarizzare il referendum sulla Giustizia farebbe bene a tutti. Parla Guzzetta

Approvata la riforma della Giustizia, ora si profila il referendum confermativo in primavera. L’impianto è coerente con gli obiettivi dei proponenti. Anche la riforma della Costituzione è frutto di scelte politiche. Ora, bisogna evitare un’eccessiva polarizzazione. Conversazione con il costituzionalista di Tor Vergata, Giovanni Guzzetta

L’approccio è sempre quello: una vittoria di parte, una sconfitta dell’altra. La riforma della Giustizia è legge e i cori da stadio non mancano. Si rincorrono già gli allarmi sulla tenuta democratica del Paese, mentre all’orizzonte si profila il referendum confermativo. Ma sarebbe, proprio sul referendum, che ci vorrebbe un approccio più pragmatico e meno ideologico: “Se si eviterà una compagna tra falangi politiche armate, credo che la nostra democrazia ne guadagnerà molto”, dice nella sua intervista a Formiche.net, Giovanni Guzzetta, giurista ordinario a Tor Vergata di Diritto costituzionale.

Professor Guzzetta, ieri il Senato ha sancito il via libera alla riforma della Giustizia. Come valuta l’impianto complessivo della norma?

Non spetta a me entrare nel merito delle singole scelte politiche, ma dal punto di vista tecnico mi pare che l’impianto sia coerente con gli obiettivi dei proponenti. Anche la riforma della Costituzione è frutto di scelte politiche. Come del resto lo fu la Costituzione.
E lo stesso procedimento di revisione di cui all’articolo 138 della Costituzione rispecchia questo dato. La riforma può essere approvata anche con una maggioranza assoluta, senza accordo dell’opposizione o con una maggioranza più ampia. Sono procedure egualmente legittime. L’approvazione a maggioranza è compensata dalla possibilità di referendum.

Si dibatte parecchio sull’esigenza di creare due Csm, separando le carriere di magistratura requirente e giudicante. Come valuta questa scelta?

Come ha detto la stessa Corte costituzionale in più occasioni la soluzione della carriera unica o delle carriere separate sono entrambe compatibili con l’impianto costituzionale. Del resto la stessa assemblea costituente riteneva che il tema avrebbe potuto essere nuovamente affrontato una volta modificato il modello processuale. Cosa che in Italia è avvenuta nel 1989, con una scelta per il modello tendenzialmente “accusatorio”. Tale soluzione è stata poi rafforzata dalla modifica dell’art. 111 della Costituzione del 1999 la quale, lo ricordo, ha previsto, tra l’altro che, “ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a giudice terzo e imparziale”.

L’Alta Corte eserciterà le funzioni disciplinari sui magistrati. Una scelta condivisibile o un ulteriore appesantimento del sistema?

Anche questa rappresenta una scelta politica. Ma non va dimenticato che il procedimento disciplinare esiste già ed è attualmente svolto in seno al CSM. Non vedo perché la modifica, di per sé, dovrebbe determinare un appesantimento. Peraltro la riforma rinvia alla legge per la previsione delle norme di attuazione. Sarà in quella sede che si potranno calibrare, anche da questo punto di vista, gli aspetti procedurali più rilevanti.

Secondo lei, per come è stata concepita, questa riforma è un approdo o l’inizio di un nuovo corso per la giustizia italiana? Mi viene in mente il tema della responsabilità civile dei magistrati.

Non ho nessun titolo per rispondere a questa domanda. Non faccio l’indovino. Quello che mi auguro è che, al di là dell’opinione che se ne ha, il dibattito non sia viziato ed egemonizzato dall’argomento della “riserva mentale”, quello secondo cui, anziché valutare la riforma in sé ci si abbandoni alla ridda delle illazioni e delle congetture su secondi e ulteriori fini, rispetto ai quali la separazione della carriere sarebbe solo un “cavallo di Troia”. Oltre ad essere giuridicamente fuorviante, si rischierebbe di politicizzare e polarizzare ancor di più il confronto. Mentre la materia meriterebbe un approccio molto più composto e laico.

Nella primavera del 2026 ci sarà il referendum confermativo. Ha senso, dunque, gridare all’allarme anti-democratico?

Il referendum nelle riforme costituzionali sinora promosse, purtroppo, è sempre stato utilizzato, più che per discutere del merito, come occasione per combattere una guerra politico-elettorale “con altri mezzi”. Mi auguro che in quest’occasione non sia così, anche perché vedo che i “fronti” che si vanno delineando non sono totalmente coincidenti con gli schieramenti politici. Importanti personalità si sono espresse in senso diverso da come la loro appartenenza politico-culturale avrebbe fatto pensare. Se si eviterà una compagna tra falangi politiche armate, credo che la nostra democrazia ne guadagnerà molto.

Da ultimo: si tratta di una vittoria di destra o di sinistra oppure si può pensare a una riforma oltre la polarizzazione partitica?

Mi rifiuto di pensare che la riforma della giustizia possa essere banalizzata con le categorie politiche di destra o di sinistra. Questo significherebbe sancire, ad esempio, che l’ANM sia di sinistra perché si colloca su posizioni di contrarietà come gran parte dell’opposizione. Ne uscirebbe fortemente delegittimata. Credo che tutte le posizioni debbano essere valutate nel merito, senza nasconderci che il tema è delicatissimo perché l’organizzazione della giustizia è sempre esposta, come ricordavano unanimemente i padri costituenti, al duplice rischio di chiusura corporativa dei magistrati, da un lato, o di tentativi del potere politico di controllarla, dall’altro. Due rischi uguali e contrari ed entrambi nefasti per lo stato di diritto.


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