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In Toscana vince il Pd, ma non il campo largo. Parla Orsina

In Toscana è vittoria netta del centrosinistra come del resto era ampiamente prevedibile, ma Giani non rappresenta il Pd di Schlein. Il Movimento 5 Stelle registra un flop aprendo un problema strutturale di alleanza con i restanti partner del campo largo. La vannaccizzazione della Lega non funziona. Conversazione con il direttore del Dipartimento di scienze politiche della Luiss, Giovanni Orsina

La Toscana resta rossa, ma non è una vittoria di partito: è una vittoria di radicamento. Eugenio Giani si conferma presidente con un margine ampio, in una competizione mai davvero in discussione. Eppure, dietro la superficie di un risultato atteso (in un contesto di partecipazione molto bassa), si nasconde un messaggio politico tutt’altro che secondario. Ne parla a Formiche.net Giovanni Orsina, storico e direttore del Dipartimento di scienze politiche della Luiss, che invita a leggere il voto toscano come un segnale di come anche per il centrodestra certe vittorie siano tutt’altro che scontate.

Professor Orsina, il risultato toscano era atteso, ma il margine ha comunque sorpreso qualcuno. Che lettura dà di questo voto?

Il risultato era sostanzialmente previsto. Anche l’ampiezza del margine è un segnale di stabilità: in linea coi numeri del passato, come dimostra da ultimo l’approfondimento dell’Istituto Cattaneo. L’astensione ha leggermente penalizzato la destra: un meccanismo piuttosto classico, soprattutto in presenza di un risultato scontato. Se la competizione non è percepita come davvero aperta l’elettorato tende a mobilitarsi meno, e questo vale in particolare per chi sente di non avere possibilità di vittoria.

C’è chi ha provato a leggere in chiave nazionale il risultato toscano e quello calabrese. Lei cosa ne pensa?

Francamente, né la Toscana né la Calabria sono particolarmente indicative per lo scenario nazionale. Sono regioni con equilibri politici e identità elettorali consolidate. Dove la competizione è scarsa, la partecipazione cala, e quindi i risultati rischiano di restituire un’immagine distorta rispetto alle dinamiche complessive del Paese.

Molto si è discusso del cosiddetto “campo largo”. La formula funziona davvero?

Il campo largo è un esperimento complesso e finora fragile. Il Movimento 5 Stelle alle elezioni locali va tradizionalmente male: è un movimento costruito su temi nazionali, non territoriali. Ma c’è un’altra questione strutturale — gli elettori 5 Stelle non amano le alleanze, e spesso non le reggono. In Toscana, poi, il candidato Giani era un esponente del Pd, ma di un Pd molto diverso da quello di Elly Schlein. E questo è uno dei problemi di fondo del campo largo: la somma aritmetica non funziona. Il Movimento è nato contro il Pd, e quando si allea perde identità. Inseguendolo il Pd rischia di “grillizzarsi” e magari finisce per andare comunque verso la sconfitta.

E lo spazio riformista, quello centrista, dove si colloca in questo quadro?

Uno spazio riformista esiste, ed è abbastanza evidente in Toscana. Un Pd a trazione più spiccatamente di sinistra lascia scoperto un pezzo di elettorato — non enorme, ma tutt’altro che trascurabile. Il punto è capire se e come questo spazio possa essere organizzato.
Renzi? Certo, potrebbe muoversi lì a livello regionale, soprattutto nella sua regione. Ma il nodo è la credibilità dell’alleanza: a livello locale può funzionare, ma sul piano nazionale, se Renzi si allea con Schlein e Conte, gli elettori lo seguono davvero? È tutto da verificare.

La Lega registra un flop. È l’effetto Vannacci?

Vannacci è, a mio avviso, sopravvalutato. La Lega oggi ha già due anime e Salvini si trova davanti allo stesso problema di Renzi: ha perduto credibilità personale. Da un punto di vista politico Vannacci non è altro che un suo clone, e questo non risolve nulla.

Torniamo al Pd: la vittoria di Giani rafforza Schlein?

Sì, nel senso che se non avesse vinto avrebbe rischiato davvero. Ma per il resto molto poco, direi. Ha vinto Giani, non la Schlein. In Toscana il Pd ha ancora un radicamento territoriale molto solido, che resiste anche quando il quadro nazionale è incerto. Giani è un profilo moderato, amministrativo, che piace a un elettorato tradizionale. Non è il successo di una linea politica, ma la conferma di una rete di potere locale.

E per il centrodestra, che segnale arriva?

La destra in Toscana vale poco, storicamente. Ma resta il fatto che in alcune regioni ha investito poco, e quando succede, la botta arriva. È un segnale da non sottovalutare: malgrado la destra sia strutturalmente in vantaggio, la situazione rimane aperta. In fin dei conti, tutte le ultime elezioni segnalano una grandissima, sorprendente stabilità dei comportamenti elettorali. Il che vuol dire che la coalizione oggi al governo non perde consenso ma neppure ne guadagna, restando sempre al di sotto del 50 per cento, a livello nazionale. Quindi non impossibile da battere.


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