La proclamazione di San Newman a Dottore della Chiesa eleva a dottrina il suo progetto educativo a Dublino. Promosse un ideale di “educazione dell’intelletto” per formare il gentleman capace di conciliare fede e ragione, un faro necessario per orientare il mondo moderno
“Parlare di John Henry Newman, leggere le sue opere, capirne fino in fondo il pensiero non è cosa semplice, anzi è cosa difficile assai. Lo è non solo perché il suo dire è il frutto di una vasta e profonda cultura, ma perché egli è un pensatore del tutto originale. Egli è stato un poeta, un novelliere, un drammaturgo, uno dei più preziosi, per così dire, utenti della lingua inglese. Egli, che fu un grande e originale filosofo e un grande e originale teologo, rifiutò però sempre la qualifica vuoi di filosofo che di teologo”. Queste parole tratte da un articolo del presidente Francesco Cossiga, pubblicato nel 2009 su Vita e Pensiero, mettono in guardia nel tentare qualsivoglia operazione di ricostruzione di tale figura eminente dell’Ottocento, creata cardinale da Leone XIII (1879), beatificata (2010) da Benedetto XVI e canonizzata (2019) da Francesco, a cui il 1° novembre (2025) sarà conferito da Papa Leone XIV il titolo di Dottore della Chiesa.
Anche in considerazione dello scenario, non casuale, in cui avverrà la proclamazione, ossia il Giubileo del Mondo Educativo (27 ottobre-1 novembre 2025) che vedrà anche il rilancio dell’iniziativa di papa Francesco del Patto Educativo Globale, si intende mettere in rilievo, pur se da contestualizzare, l’attualità del contributo che – nell’ottica non già di un modello di università ma di “educazione dell’intelletto” – ha offerto alla riflessione pubblica sull’università, di cui è sintesi mirabile, tra le altre, la raccolta dei discorsi da lui pubblicati come L’idea di università che “contiene un ideale dal quale possono (ancora) imparare quanti sono impegnati nella formazione accademica” (Benedetto XVI). In proposito, può essere interessante richiamare (la versione integrale è consultabile sul sito www.meetingrimini.org) la relazione svolta, nel 2010, durante la XXXIa edizione del Meeting per l’amicizia dei popoli, da S. Ecc. Mons. Diarmuid Martin, Arcivescovo di Dublino e Primate d’Irlanda, che approfondisce la sua intuizione di “un’università diversa” e l’“esperimento” condotto che non ebbe però il successo auspicato:
“Newman fu invitato a Dublino, fu invitato ad essere Rettore dell’Università Cattolica d’Irlanda (…) All’epoca i cattolici non potevano frequentare l’università, inizialmente a causa delle leggi che li escludevano, e successivamente per la paura della comunità cattolica del sistema educativo presentato dal governo (…) L’università di Newman non fu esattamente un successo. Il numero degli studenti era molto ridotto – in un anno si sono registrati solo in tre -, le lauree non erano riconosciute, il governo inglese non era disposto ad approvare titoli conferiti da strutture pubbliche. C’era anche una scarsità di intellettuali irlandesi, scarsità di irlandesi cattolici con formazione universitaria, in grado di diventare professori. Solo pochi studenti irlandesi e alcuni inglesi frequentavano l’università, fino al momento in cui le lauree, almeno in Medicina, furono riconosciute, ma solo per un breve periodo (…) Va ricordato anche che il progetto dell’Università fu lanciato in un momento drammatico della storia dell’Irlanda. L’Irlanda aveva sofferto un periodo traumatico a causa della grande carestia della fine degli anni Quaranta dell’Ottocento, che però effettivamente era proseguita anche negli anni ’50 dell’Ottocento, il periodo in cui si pensava all’istituzione dell’Università (…) Questo allora fu il clima in cui Newman fu nominato Rettore nell’Università Cattolica nel 1851. Dopo la nomina dovettero trascorrere tre anni di indecisioni prima che le porte dell’Università fossero aperte. Tuttavia, nel frattempo Newman scriveva la sua opera sull’idea di università. Non si trattava solamente di un’opera sul concetto di università, non era solamente un’opera sul valore dell’educazione liberale, era anche una riflessione sul rapporto tra ragione e fede. Nel presentare la natura della sua università, Newman cercò di sensibilizzare le autorità della Chiesa e dello Stato in Irlanda, così anche il pubblico in generale, sull’importanza che lo sviluppo della vita intellettuale, sulla ragione, aveva per il benessere degli individui, della società e della Chiesa Cattolica (…) L’idea di Newman era quella di formare, in una università cattolica, cattolici capaci di vivere e di testimoniare la loro fede nella vita, anche in un mondo non sempre favorevole al concetto stesso di fede (….) sperava che la sua università generasse dei cattolici con una passione per la scienza, ma anche con una passione per la verità; persone colte ma anche buoni cristiani (…) sognava una generazione di cattolici irlandesi che potessero occupare il proprio posto nella sfera pubblica senza vergognarsi della propria convinzione del valore del contributo della fede alla società”.
L’Arcivescovo aggiungeva che “l’Irlanda oggi e non solo l’Irlanda, ha bisogno di gente così ispirata dalla visione di Newman sui rapporti tra fede e ragione”. Merita di essere altrettanto messa in evidenza la risposta data all’interrogativo su che cosa rimane di quell’esperimento. Mons. Martin ha sostenuto che, concretamente, in senso fisico, “rimane ancora la chiesa dell’Università; una chiesa che era seguita in ogni particolare da Newman stesso (…) una chiesa molto interessante (…) al centro di Dublino, quasi nascosta, con una sola piccola porta all’ingresso; uno potrebbe facilmente passare senza fermarsi. Poi si aprono queste porte, si guarda dentro e cosa si vede? Si vede un lungo corridoio grigio, senza nessun segno, senza niente; però se uno ha il coraggio di andare in fondo a questo corridoio, si trova in un mondo del tutto inatteso: una chiesa bellissima, diversa dallo stile freddo neogotico delle chiese irlandesi; un po’ caotica e difficile anche da classificare”. Per il vescovo della città in cui “Newman ha cercato di creare e di realizzare uno dei suoi sogni” questa chiesa “è un simbolo della fede, che noi camminiamo per le nostre strade, qualche volta vediamo qualche segnale della presenza della fede, una porta dove si entra attraverso un periodo di dubbio, di incertezza; se uno ha il coraggio di incuriosirsi, si arriva finalmente a questa fede bellissima, diversa da quello che possiamo aspettare”.
L’educazione universitaria, il cui “fine sufficiente” non può essere soltanto la conoscenza professionale o scientifica, che a Dublino avrebbe potuto trovare realizzazione, e che ha continuato ad ispirare intere generazioni nel mondo, è quella che “dà all’uomo una chiara visione consapevole delle proprie opinioni e dei propri giudizi, una verità nello svilupparli, un’eloquenza nell’esprimerli, e una forza nel farli valere. Essa gli insegna a vedere le cose come sono, ad andare dritto alla sostanza, a sbrogliare una matassa di pensieri, a scoprire ciò che è sofistico e a scartare ciò che è irrilevante. Essa lo prepara ad occupare ogni posizione con dignità, e a dominare qualunque tema con facilità. Gli mostra come adattarsi agli altri, come entrare nel loro stato mentale, come presentare loro il proprio, come influenzarli, come giungere a comprendersi con loro, come sopportarli. Egli è a proprio agio in qualunque società» (Newman). Inoltre, secondo San Newman, l’università “non è un luogo di nascita di poeti o di autori immortali, di fondatori di scuole, di capi di colonie, o di conquistatori di nazioni. Essa non promette una generazione di Aristoteli o di Newton, di Napoleoni o di Washington, di Raffaelli o di Shakespeare, per quanto prima d’ora essa abbia ospitato tra le sue mura tali miracoli di natura. Né d’altra parte si accontenta di formare il critico o il fisico sperimentale, l’economista o l’ingegnere, sebbene includa anche questi nel suo campo d’azione (…), è il grande mezzo ordinario per raggiungere un fine grande ma ordinario; essa di propone di elevare il tono intellettuale della società, di coltivare la mente del pubblico, di purificare il gusto nazionale, di fornire principii autentici all’entusiasmo popolare e scopi stabili alle aspirazioni popolari, di dare ampiezza e sobrietà alle idee dell’epoca, di facilitare l’esercizio del potere politico, e di rendere più raffinati i rapporti della vita privata”. In questa prospettiva, l’università, quale “Alma Mater della generazione nascente”, diviene “luogo di comunicazione e di circolazione del pensiero attraverso le relazioni personali, in un territorio molto esteso”.
L’avventura umana e credente del cardinale, teologo e filosofo inglese, qui riguardata attraverso il tentativo fallito di fondare un’università cattolica a Dublino, si conferma “un faro sempre più luminoso per tutti quelli che sono alla ricerca di un preciso orientamento e di una direzione sicura attraverso le incertezze del mondo moderno, un mondo che egli stesso profeticamente aveva preveduto” (San Paolo VI). Che San Newman abbia ancora tanto da dire, a noi uomini e donne di oggi, se ne avrà nuova prova nel contesto del Giubileo del Mondo dell’Educazione, durante il quale si svolgerà il rito della proclamazione a Dottore della Chiesa e sarà nominato da Papa Leone XIV, insieme a San Tommaso D’Acquino, co-patrono della missione educativa della Chiesa, come dichiarato nel documento del Pontefice che sarà pubblicato il 28 ottobre 2025 per commemorare il 60° anniversario della Dichiarazione conciliare Gravissimum Educationis. Che la sua “santità del quotidiano” (Papa Francesco) e il suo impegno educativo verso ogni persona (a lui) affidata parlino ancora all’umanità, credente e non, è stato reso manifesto anche dalla recente visita di Stato “storica” in Vaticano dei Reali di Inghilterra che – con la preghiera ecumenica per la cura del Creato in cui è stato cantato un inno (testo di Sant’Ambrogio) secondo la traduzione inglese di San Newman – richiama alla memoria la visita (la prima di un sovrano britannico) di Carlo III dello scorso settembre all’Oratorio di Birmingham (comunità fondata dal Santo) e la presenza dell’allora Principe Carlo alla canonizzazione del 2019. Alla vigilia di questa canonizzazione, l’Osservatore Romano pubblicò un commento ampio e articolato del Principe di Galles, in cui veniva messa in risalto tra gli altri la sua “eredità duratura (…) come educatore, il suo lavoro (…) profondamente influente a Oxford, Dublino e anche oltre”, il “suo trattato L’idea di università (che) rimane ancora oggi un testo fondamentale”.
Ora, a completamento di questo piccolo frammento della sua visione dell’educazione “liberale” (che “non fa il cristiano né il cattolico, ma il gentiluomo”) e dell’università (“luogo del convenire”), del suo impegno a formare uomini del mondo per il mondo, che “ha fatto così tanto per plasmare l’ethos che è la forza sottostante alle scuole ed agli istituti universitari cattolici di oggi” (Benedetto XVI), si richiamano le parole profetiche pronunciate dal Cardinale Joseph Ratzinger, nel 1990, in occasione del centenario della morte del Cardinale Newman: “Il segno caratteristico del grande dottore nella Chiesa mi sembra essere quello che egli non insegna solo con il suo pensiero e i suoi discorsi, ma anche con la sua vita, poiché in lui pensiero e vita si compenetrano e si determinano reciprocamente. Se ciò è vero, allora davvero Newman appartiene ai grandi dottori della Chiesa, perché egli nello stesso tempo tocca il nostro cuore e illumina il nostro pensiero”.












