Trecento amministratori attorno a Silvia Salis, il “Progetto Civico” e l’eterna promessa di un nuovo centro. “Una versione stanca dei vecchi fronti popolari”. Un rassemblement che rientra nelle logiche del campo largo: una semplice alleanza elettorale contro il centro-destra, una alleanza reversibile che tarda a pensarsi come coalizione per il governo del Paese. Conversazione con l’ex ministro docente titolare della cattedra di Sociologia politica all’Università di Bologna e per quasi trent’anni alla guida dell’Istituto Cattaneo, Arturo Parisi
Trecento amministratori attorno a Silvia Salis, il “Progetto Civico” e l’eterna promessa di un nuovo centro. Arturo Parisi, docente titolare della cattedra di Sociologia politica all’Università di Bologna e per quasi trent’anni alla guida dell’Istituto Cattaneo guarda all’iniziativa con il disincanto di chi ha già visto questo film: “Una versione stanca dei vecchi fronti popolari”. Per l’ex ministro dell’Ulivo, senza un progetto riformatore condiviso ogni alleanza “contro” è destinata a logorarsi prima ancora di nascere.
Trecento amministratori radunati attorno al Progetto Civico che porta il volto di Silvia Salis. Sta nascendo qualcosa di nuovo al centro o si tratta dell’ennesimo esperimento che avrà corto respiro?
È quello che leggo. La stessa cronaca dice anche che se il volto è quello di Silvia Salis, “regista dell’operazione” è Alessandro Onorato, e “in prima fila”, oltre a Giuseppe Conte ci stava Goffredo Bettini “ideologo del Partito democratico e del cosiddetto ‘campo largo’ convinto di questa nuova avventura”. Avventura è di certo la parola in più. Diciamolo pure: tutto già visto e annunciato. Da tempo. Non conosco la Salis, né Onorato e neppure Bettini, per versi diversi tutte persone di qualità. Ma grazie alla mia età conosco il disegno che guida “l’operazione” molto prima che sapessi dell’esistenza dello stesso Bettini che da tempo ne è il più convinto sostenitore di turno.
Cioè?
Una versione stanca e, pensando ai decenni trascorsi, direi senile dei vecchi Fronti Popolari, che furono tuttavia alleanze di partiti veri non di semplici sigle. Una alleanza “contro” sempre alla ricerca di nuove frazioni da sommare ad un partito che si pensava guida e detentore del “per”. Legittimo. Se funzionasse addirittura di buon senso. Non è comunque la mia preferenza che conta poco. A contare è che non è quello di cui a mio parere ha bisogno l’Italia. Senza un chiaro progetto riformatore attorno al quale costruire l’unità di una coalizione per il governo, le ragioni della conservazione sono destinate ad avere la meglio. Ancor di più se i conservatori sono già al potere e dichiaratamente col nome col quale la attuale Premier sta in campo in Europa. “Chi lascia la strada vecchia per la nuova sa quel che lascia, non quel che trova” è ancora l’istinto dominante. L’istinto che la ragazza che guidò i movimenti giovanili post-fascisti va sempre più interpretando da Palazzo Chigi sulla scia della versione dorotea del pragmatismo democristiano.
La sindaca di Genova sostiene che occorra smetterla di fare la gara a chi è più a sinistra. Una presa di coscienza che con l’estremismo non si vince o un guanto di sfida a Schlein?
Di sfide alla Schlein al momento conosco solo quella di Conte. Quanto all’idea che con l’estremismo non si avanzi nei voti non le so dire. Vincere è certo un’altra cosa. Ma in un momento di forte polarizzazione nella società si potrebbe pure raggranellare qualche altro voto. Di mio le posso solo dire che non è bene. Se si perde si finisce isolati prigionieri della sindrome della opposizione ad oltranza. Se, perdendo a causa delle loro contraddizioni o divisioni, gli altri ci regalano una vittoria formale o siamo costretti a rimangiarci le esagerazioni con le quali siamo finiti al governo, o, peggio, aggiungiamo i nostri danni a quelli a noi preesistenti.
A proposito del Pd: questa iniziativa non rappresenta comunque una potenziale insidia per la leadership democratica?
Diciamo che almeno non è pensata per questo. Chi volesse sfidare la deriva estremista che va traviando sempre più il partito dal progetto iniziale pensato nel solco della esperienza dell’Ulivo deve farlo all’interno del partito difendendo e rilanciando quel progetto, sempre che ci si creda ancora. Indirizzare le voci che dissentono verso formazioni esterne incoraggiate e variamente collegate al partito, o ammutolire le voci restate all’interno non può che proteggere la segreteria attualmente alla guida.
Giuseppe Conte, presente a sorpresa al Parco dei Principi, dice che il dialogo con Progetto Civico può essere interessante. C’è margine reale o una boutade?
Sia che si legga la sua presenza e la sua dichiarazione come apprezzamento verso una voce che si aggiunge senza insidiare il suo orticello, sia essa invece espressione della competizione con Elly Schlein per la guida del governo, la direi coerente con la forma che al momento contraddistingue il cosiddetto “campo largo”. Una semplice alleanza elettorale contro il centro-destra, una alleanza reversibile che tarda a pensarsi come coalizione per il governo del Paese.