Al di là delle parole di Starmer e Tajani, che confermano la positiva postura europea verso la cosiddetta “riunificazione balcanica”, i fronti di crisi restano acuti. Il riferimento è alla polveriera Serbia-Kosovo pronta ad esplodere nuovamente
A che punto e’ il Processo di Berlino? E come i Paesi balcanici stanno progredendo in chiave Ue? l vertice di ieri a Londra ha certificato lo stallo della situazione serbo-kosovara, ma certamente messo in luce anche aspetti positivi, come i progressi albanesi. Appare chiaro quindi che in un momento caratterizzato dalle pressioni geopolitiche e finanziarie dei super player esterni come Russia e Cina. l’Ue è chiamata a uno scatto decisivo.
LE CRISI
Secondo il kosovaro Albin Kurti la Serbia non dovrebbe essere autorizzata ad agire impunemente e dice che i progressi compiuti nel suo Paese restano “sotto l’ombra delle minacce e delle continue aggressioni” da parte di Belgrado.
Come è noto il Kosovo punta ad una maggiore integrazione nella Nato, al netto delle problematiche interne in primis la criminalità organizzata che tutto controlla; mentre la Serbia vanta un ottimo feeling con Cina e Russia e negli ultimi anni ha deciso di investire non poco in armamenti. Belgrado ha acquistati i Rafale francesi ma anche i droni CH-92A e sistemi missilistici FK-3 dalla Cina, nonostante il suo esercito sia ormai impegnato in esercitazioni congiunte con i Paesi membri della Nato nell’ambito del programma “Partenariato per la Pace”. Un controsenso che contribuisce alle tensioni. La Cina va oltre i cantieri aperti nei Paesi balcanici, perché mira alla penetrazione politica, culturale ed economica tramite il soft power mentre l’Ue negli ultimi dieci anni è sembrata rincorrere le emergenze senza un disegno rapido e la Russia usa la clava energetica per mantenere un controllo. L’evoluzione bellica, tanto in Ue (Kyiv) quanto in Medio Oriente (Gaza) si è rivelata però un acceleratore di indirizzi ed iniziative. È in questo senso che il Processo di Berlino può rappresentare uno strumento risolutore.
QUI BRUXELLES
Anche per questa ragione in occasione del suo recente tour nella regione, la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha voluto lanciare un messaggio preciso proprio alle aree più critiche. Al presidente serbo Aleksandar Vučić ha detto che “viviamo in un mondo frammentato in cui il divario tra democrazie e autocrazie si sta ampliando”. Di fatto un aut aut per la Serbia, chiamata ad una scelta definitiva tra Mosca e Bruxelles (sul punto va segnalata la difficoltà di Vucic dopo che i ministri europei dell’energia hanno votato per eliminare gradualmente tutte le importazioni di gas russo a partire dal 2028).
Lo stesso dicasi per i Balcani occidentali, dove Albania, Bosnia-Erzegovina, Kosovo, Montenegro, Macedonia del Nord si giocano la green card per l’Ue anche attraverso la cooperazione regionale e gli investimenti.
Nello specifico il Montenegro è avanti grazie a tutti i 33 capitoli negoziali aperti e tre provvisoriamente chiusi. Albania e Macedonia del Nord hanno avviato i colloqui formali solo nel 2022, dopo anni di ostruzionismo francese e restano nella fase iniziale di selezione, mentre la Bosnia-Erzegovina ha ottenuto lo status di candidato nel 2022. Resta escluso il Kosovo perché ancora non riconosciuto da cinque Stati.
QUI ROMA
La stabilità e la prosperità della regione balcanica rappresentano due priorità strategiche del governo italiano. È questo l’aspetto messo in risalto dal ministro degli Esteri Antonio Tajani nel suo intervento ieri in plenaria al vertice dei capi di Stato e di governo del processo di Berlino. Tajani ha definito i Balcani “un pilastro fondamentale dell’ampia regione del Mediterraneo, che nella nostra visione raggiunge il Golfo e l’India, regione di cui il governo italiano vuole fare un’area di pace, crescita e prosperità”. Per Roma è “un investimento strategico per la stabilità della regione, è cruciale e non può essere lasciata in balia dei nostri concorrenti e avversari”.
Ecco il nodo. Bruxelles sta provando a scommettere sul Piano Crescita proprio al fine di tenere fuori dal costone balcanico Mosca e Pechino, due economie che tra l’altro mascherano bene le proprie criticità economiche.
QUI LONDRA
Sul punto, il primo ministro inglese si è soffermato non poco, richiamando l’attenzione su questioni nevralgiche connesse ai Balcani, come sicurezza, migrazione, crescita economica e lotta contro “l’influenza maligna” della Russia. “I Balcani occidentali sono da tempo un focolaio di bande criminali dedite al contrabbando – ha osservato – Non vorresti che queste bande operassero sul tuo territorio perché ne subiresti le conseguenze”.