Dopo le restrizioni Usa, la Cina risponde con misure che potrebbero ridisegnare le catene di approvvigionamento mondiali, confermando la fine dell’ordine liberista e l’ingresso in un’epoca in cui interdipendenza e coercizione economica diventano strumenti di potere. La chiave? La trade compliance. L’intervento di Mario Alfonzo, responsabile della Trade compliance di Northrop Grumman Italia
Nella giornata di giovedì scorso, il ministero del commercio cinese (Mofcom) ha annunciato, attraverso i comunicati n. 61 e n. 62, l’adozione di ulteriori controlli all’esportazione di tecnologie per l’estrazione e la lavorazione delle terre rare e di prodotti esteri derivati.
Oltre a nuovi controlli imposti agli esportatori cinesi, le nuove restrizioni riguarderanno anche le riesportazioni di prodotti fabbricati all’estero, ma derivati da terre rare o tecnologie cinesi, con specifiche preclusioni verso gli operatori del settore militare.
La mossa di Pechino arriva circa una settimana dopo l’annuncio del dipartimento del Commercio statunitense dell’estensione delle restrizioni connesse all’inserimento nella Entity list del Bureau of industry and security, (dove sono attualmente comprese numerose entità cinesi), anche alle entità possedute dai soggetti elencati in quest’ultima (50% rule).
Una contromossa i cui effetti sono ancora tutti da valutare (l’amministrazione Usa ha già annunciato contromisure) e che potrebbe avere degli impatti dirompenti sulle catene di approvvigionamento globali, con effetti significativi per le industrie della difesa, ma che appare tuttavia coerente con le caratteristiche del nuovo ordine economico che si sta delineando.
Una fase di trasformazione
Non è infatti notizia di oggi che il sistema di economia globalizzata su cui si è sviluppato l’ordine economico mondiale da Bretton woods in poi – basato su un nucleo di regole ampiamente condiviso tra i diversi attori del commercio internazionale – si trovi in uno stato di crisi ormai irreversibile.
Tuttavia, decretarne semplicemente la fine (avvenuta o comunque prossima) rischierebbe di portarci colpevolmente a trascurare il lascito più rilevante che tale ordine ci sta consegnando: un tessuto economico internazionale fondato su catene di valore transcontinentali e una forte interdipendenza tra i diversi mercati nazionali.
L’importanza di tale lascito è ancor più evidente alla luce della lettura della Oecd supply chain resilience review (Ocse, 2025), in cui l’Ocse ha messo in luce la progressiva crescita, a partire dal 1965, delle catene globali del valore e la contemporanea tendenza ad accrescere la dipendenza dagli approvvigionamenti esteri, soprattutto nei settori strategici (come l’elettronica e l’oil and gas).
È quindi naturale che, in un contesto che vede disgregarsi il sistema multilaterale su cui si è fondato il commercio internazionale dal secondo dopoguerra a oggi (con la polarità tra Usa e Cina a ridisegnare il quadro di relazioni internazionali secondo logiche di forza o di semplice convergenza di interessi) l’interdipendenza economica diventi la chiave delle relazioni commerciali del prossimo futuro.
Sanzioni, export control e dazi: l’interdipendenza economica come arma
È di questo avviso anche l’autorevole rivista statunitense Foreign affairs che, nel numero pubblicato a settembre di quest’anno, annuncia l’inizio di un’era fondata sull’interdipendenza come arma di coercizione economica e tecnologica.
Nell’articolo di copertina, intitolato The Weaponized World Economy – Surviving the New Age of Economic Coercion, gli autori Henry Farrel (Johns Hopkins University) e Abraham Newman (Georgetown University) analizzano lo stato attuale delle relazioni economiche internazionali, riconoscendo come, con il riassetto dei rapporti commerciali tra Washington e Pechino, si stia al contempo delineando il definitivo passaggio a un sistema dominato dall’uso sempre più intenso di strumenti di coercizione economica, come sanzioni internazionali, controlli all’esportazione e altre misure volte a influenzare le catene di approvvigionamento globali (si veda, ad esempio, il nuovo impiego dei dazi come mezzo per favorire la rilocalizzazione produttiva).
Come dimostrato anche dalle ultime mosse del Dragone, quelle appena citate saranno dunque alcune delle parole d’ordine necessarie per comprendere il funzionamento di questo nuovo sistema e, per citare gli autori dell’articolo, sopravvivere nella nuova era della coercizione economica.
Come districarsi in questo nuovo mondo
Se dunque nell’ordine basato sul libero scambio la chiave per una maggiore competitività economica risiedeva principalmente nello sfruttare al meglio le semplificazioni che tale sistema offriva (uniformità di standard, dazi contenuti basati sulla regola della nazione più favorita, preferenze tariffarie legate ad accordi di libero scambio, ecc.), in questa nuova era sarà fondamentale saperne cogliere le complessità ed essere così in grado di muoversi entro gli stretti margini di opportunità definiti dall’adozione di strumenti coercitivi come sanzioni, controlli all’esportazione e dazi.
La chiave per districarsi tra le complessità delle nuove relazioni economiche internazionali non potrà che risiedere, quindi, nel dominio delle normative che regolano tali strumenti, conferendo così al tema della trade compliance un ruolo sempre più centrale all’interno delle aziende.
In questo senso, dotarsi, di una struttura interna provvista delle risorse e delle professionalità necessarie per far fronte alle sfide di questa nuova era rappresenterà un elemento d’importanza strategica, per le imprese e per il sistema Paese.
È quanto emerge anche dal white paper, pubblicato lo scorso settembre dal World economic forum (Wef), intitolato Trade Compliance for Leadership: Navigating a Shifting Global Landscape. Nel documento, che identifica ed esamina le sfide della trade compliance nel nuovo scenario economico, viene infatti sottolineato come la gestione dei temi legati al commercio internazionale rappresenti un fattore strategico per la continuità operativa, la resilienza e la competitività aziendale.
Come evidenziato dal Wef all’interno del white paper, puntare sulla trade compliance consentirà alle aziende che lo faranno di essere meglio posizionate per affrontare le sfide del commercio di domani. La posta in gioco è la sopravvivenza nella nuova era della coercizione economica.