La Commissione europea prova a dare forma concreta all’idea di una difesa comune con la roadmap del piano Readiness 2030. Scadenze e obiettivi, fondi comuni e nuovi strumenti delineano una strategia di lungo periodo, ma le questioni politiche legate alla titolarità della Difesa potrebbero portare il Consiglio a ridimensionare il ruolo della Commissione
A sette mesi dalla pubblicazione del piano ReArm Eu – poi ribattezzato Readiness 2030 – e dopo settimane di attacchi ibridi verso il continente, la Commissione europea ha presentato la roadmap che, nei prossimi anni, dovrebbe rappresentare la bussola comune degli Stati europei per coordinare e armonizzare le proprie politiche di riarmo. Dovrebbe, perché a Bruxelles le tensioni tra la Commissione e gli Stati membri sono sempre più marcate, con i governi nazionali che guardano con crescente diffidenza ai tentativi di Ursula von der Leyen di estendere le prerogative delle istituzioni comunitarie in tema di Difesa. Il documento presenta scadenze e prospettive di armonizzazione, e verrà ufficialmente sottoposto ai capi di Stato e di governo durante il Consiglio europeo della prossima settimana. Lo stesso in cui è probabile che il Consiglio riaffermerà la competenza esclusiva degli Stati nazionali in materia di Difesa.
Tre criteri e quattro pilastri
Il documento definisce nel dettaglio il percorso che dovrebbe condurre l’Unione a una piena “prontezza alla difesa” entro il 2030. Si tratta di una strategia operativa che traduce in scadenze e misure concrete gli obiettivi fissati dal piano Readiness 2030 e che si basa su tre assi principali: investimenti coordinati, rafforzamento industriale e integrazione delle capacità militari. Per la prima volta, la Commissione stabilisce una sequenza temporale precisa, con tappe annuali di verifica e indicatori di progresso, in modo da misurare l’avanzamento degli Stati membri nel colmare le lacune di capacità evidenziate dal Libro bianco della difesa europea.
Sul piano tecnico, la roadmap individua quattro iniziative principali che dovranno rappresentare il nucleo della nuova architettura difensiva europea. Tra queste, la European Drone Defence Initiative – evoluzione del precedente progetto noto in gergo come “muro antidrone” – prevede la creazione di un sistema integrato di rilevamento, contrasto e neutralizzazione dei droni, con una piena capacità operativa prevista entro il 2027. Ad essa si affianca l’Eastern Flank Watch, un programma di sorveglianza avanzata per il fianco orientale dell’Unione che integrerà componenti terrestri, aeree e marittime e che mira a garantire la piena operatività entro il 2028. Completano il quadro l’European Air Shield, pensato per rafforzare la difesa aerea multilivello (in sinergia con la Nato), e l’European Space Shield, destinato a proteggere le infrastrutture spaziali strategiche.
Mobilità militare, tecnologia e fondi
La roadmap dedica ampio spazio anche al tema della mobilità militare, definita un “abilitatore orizzontale essenziale” per la sicurezza del continente. L’obiettivo, da raggiungere entro il 2027, è la creazione di una “area europea di mobilità militare” con regole armonizzate, corridoi terrestri, porti e aeroporti interconnessi, in grado di garantire il rapido dispiegamento di truppe e mezzi attraverso i confini interni dell’Unione. In parallelo, la Commissione propone un incremento significativo delle risorse destinate alla difesa, allo spazio e alla competitività industriale, con un’estensione dei fondi di Horizon Europe ai progetti dual use e alle tecnologie critiche a finalità difensiva. È prevista inoltre una revisione del quadro finanziario pluriennale e un aumento di dieci volte dei fondi per la mobilità militare, mentre la quota di appalti comuni dovrà raggiungere almeno il 40% entro il 2027.
Industria, meno frammentazione e più produzione
Un altro capitolo rilevante riguarda l’integrazione dell’industria della difesa europea. Bruxelles propone meccanismi di coordinamento più stretti tra imprese e governi nazionali, nonché un sistema di monitoraggio dei progressi gestito congiuntamente dalla Commissione e dall’Agenzia europea per la difesa (Eda). Gli incentivi agli appalti congiunti, secondo le stime della Commissione, potrebbero ridurre i costi di produzione fino al 30% e generare un risparmio complessivo di circa 200 miliardi di euro entro il 2035. Altro obiettivo è quello di spostare progressivamente il baricentro della spesa militare verso i fornitori europei, incrementando dal 40% al 55% la quota di investimenti realizzati all’interno del mercato unico.
La Commissione e il Consiglio in rotta di collisione?
Più di una fonte ha riportato negli ultimi giorni voci di un crescente contrasto ai vertici dell’Europa. Secondo gli osservatori, il piano Readiness 2030 e la stessa Roadmap sarebbero visti dagli Stati nazionali come un tentativo della Commissione di estendere forzatamente le competenze del para-esecutivo di Bruxelles. Per questa ragione, gli Stati starebbero premendo per fare dell’Eda il perno del riarmo continentale. L’agenzia non dipende dalla Commissione e ha anzi natura intergovernativa – soggetta dunque alla volontà dei governi nazionali. La Difesa, vale la pena ricordarlo, rimane una competenza cosiddetta esclusiva e pertanto ricade tra le questioni di competenza diretta degli Stati nazionali. Tuttavia, decenni di ricerca e letteratura in materia hanno ampiamente dimostrato che un’Europa della difesa frammentata non solo ha poche speranze di risultare efficace ed efficiente – sia sotto il profilo economico sia sotto quello militare – ma diverse analisi più recenti segnalano i rischi di un riarmo continentale perseguito in ordine sparso.
È sulla scorta di queste riflessioni che, dal 2022, si è mossa l’azione della Commissione. Entro i limiti tracciati dai trattati, gli strumenti messi in campo da Berlaymont hanno l’obiettivo di fornire uno standard e una cabina di regia comune a tutti gli Stati, onde evitare disallineamenti nei piani di procurement e nella definizione delle politiche industriali europee. Senza tali strumenti, dotati di criteri comuni e linee-guida condivise, il rischio è che la storica frammentazione dell’industria della Difesa europea si accentui, trainata da politiche di privilegio nazionale. Ciò non solo contribuirebbe ulteriormente a pregiudicare la competitività economica del continente ma, a livello militare, configurerebbe un’Europa poco interoperabile, squilibrata nei rapporti di forza interni e non credibile sul piano della deterrenza verso gli attori esterni. Ciò non toglie che sia vero che i trattati, per come sono attualmente strutturati, non contemplano la Difesa e la Politica estera tra le competenze condivise tra Bruxelles e le capitali nazionali. Il tema, più volte oggetto di dibattito, rimane prettamente politico e rimanda al futuro del processo di integrazione europea. Futuro che, così come l’approvazione effettiva della roadmap, resta nelle mani del Consiglio e dei governi nazionali.