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Fondi pensione. La strada verso una finanza sostenibile

Di Nicola Cucari e Victoria Giannetti

La finanza sostenibile è un processo e non un traguardo. Essa rappresenta un laboratorio in cui si misurano le tensioni tra intenzione e risultato, tra narrativa e coerenza, tra opportunità economica e responsabilità sociale. I giovani, più di altri, percepiscono questa distanza e la trasformano in domanda di autenticità. L’analisi di Nicola Cucari, professore associato di Economia e gestione delle imprese, Sapienza Università di Roma e E.r.m.e.s. Startup Universitaria Sapienza, e Victoria Giannetti, assegnista di ricerca, Dipartimento di management, Sapienza Università di Roma

La quattordicesima edizione della Settimana SRI, promossa dal Forum per la Finanza Sostenibile e in corso fino al 12 novembre, si svolge in un clima di crescente fermento e di profonde contraddizioni. A pochi giorni dall’inizio della Cop30 di Belém, dove i leader mondiali si riuniranno per ridefinire la traiettoria della transizione ecologica, l’Europa è ancora lontana da un accordo sul target climatico al 2040. I ministri dell’Ambiente dell’Unione non sono riusciti a trovare un compromesso sulla riduzione delle emissioni, pur condividendo l’obiettivo di un taglio del 90 per cento rispetto ai livelli del 1990.

Il confronto si è cristallizzato sulle cosiddette “flessibilità”, ossia le deroghe che consentirebbero di alleggerire l’impatto economico della decarbonizzazione. Una tensione che riflette, in fondo, la difficoltà europea di coniugare ambizione climatica, competitività industriale e coesione politica. Nel frattempo, il dibattito globale è stato dominato dalle parole del segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres, che ha definito la mancata limitazione del riscaldamento globale entro 1,5 °C “una colpa morale e una negligenza fatale”. Guterres ha parlato di una “linea rossa per un pianeta abitabile”, avvertendo che anche un superamento temporaneo di tale soglia porterebbe “conseguenze drammatiche”.

Tuttavia, le sue parole si sono scontrate con una voce altrettanto influente, quella di Bill Gates, che a pochi giorni dal vertice di Belém ha diffuso un lungo memorandum in cui invita a ridimensionare l’allarmismo climatico. Secondo Gates, “sebbene il cambiamento climatico avrà conseguenze gravi, soprattutto per i Paesi più poveri, non porterà al collasso della civiltà”. L’imprenditore e filantropo, che da anni investe ingenti risorse nella transizione energetica e nella ricerca tecnologica, sostiene che “le persone potranno continuare a vivere e prosperare nella maggior parte delle aree del pianeta ancora per molto tempo”. Un messaggio che suona come una presa di distanza dal catastrofismo diffuso e come un invito a concentrare gli sforzi su politiche di adattamento e miglioramento delle condizioni di vita, più che su narrazioni apocalittiche.

La Settimana Sri 2025 si colloca pertanto in questo spazio come banco di prova della maturità della finanza sostenibile, che non può più limitarsi a parole d’ordine ma deve dimostrare di generare valore misurabile e di ridurre rischi che sono ormai parte integrante della razionalità economica

Oltre i pregiudizi: la sostenibilità come architettura di valore

Negli ultimi anni la finanza sostenibile ha vissuto un’evoluzione che ne ha profondamente mutato la natura, passando dall’essere un’alternativa morale alla finanza tradizionale a diventare una sua declinazione più consapevole e lungimirante. Il position paper del Forum per la Finanza Sostenibile, “La Finanza Sostenibile oltre i pregiudizi” (2024) invita a riconsiderare alcune percezioni errate che ancora ne condizionano la diffusione.

Il primo equivoco riguarda l’idea che la sostenibilità rappresenti una deviazione dal mercato o, peggio, un lusso ideologico. In realtà, il documento dimostra che essa è oggi parte integrante della logica economica. Integrare i criteri ambientali, sociali e di governance significa gestire meglio i rischi, preservare valore nel lungo periodo e garantire una maggiore resilienza delle imprese ai cicli economici. Le aziende che adottano strategie sostenibili mostrano, nel tempo, migliori performance di governance, maggiore stabilità e una più efficace gestione delle crisi. La sostenibilità non è dunque un costo, ma una forma evoluta di efficienza.

Un secondo pregiudizio, altrettanto diffuso, è che gli investimenti Esg rendano meno. Il Forum ribalta questo luogo comune con dati e analisi: non esiste evidenza che i prodotti sostenibili abbiano performance inferiori rispetto a quelli tradizionali, e in molti casi accade l’opposto. I fattori Esg, soprattutto se integrati in modo sistematico, riducono l’esposizione ai rischi reputazionali, normativi e ambientali, che negli ultimi anni si sono rivelati determinanti per la redditività. Investire in sostenibilità, quindi, non significa rinunciare al rendimento, ma proteggere il capitale da shock che il mercato tradizionale tende a sottovalutare.

C’è poi chi continua a ritenere che la finanza sostenibile sia dominata dal greenwashing, cioè da dichiarazioni di principio prive di sostanza. Il position paper affronta il tema senza sconti, riconoscendo che i rischi di abuso esistono ma che il quadro regolatorio europeo ha già compiuto passi decisivi per contenerli (Sustainable Finance Disclosure Regulation, la Tassonomia Ue e la Corporate Sustainability Reporting Directive). Da ultimo si veda anche il recente decreto legislativo che recepisce la direttiva Ue 2024/825 sulla ‘responsabilizzazione dei consumatori per la transizione verde’. Oggi, chi vuole dichiararsi sostenibile deve dimostrarlo con dati misurabili e verificabili, e questo rende il greenwashing sempre meno sostenibile – in tutti i sensi del termine.

Un altro fraintendimento, forse il più radicato, è che la finanza sostenibile sia un’ideologia “verde” che interferisce con le regole del mercato. In realtà, il documento mostra come l’integrazione Esg risponda a una logica di prudenza e di lungimiranza: ignorare i rischi ambientali o sociali significa, di fatto, esporre il portafoglio a variabili materiali che possono compromettere il rendimento e la stabilità complessiva del sistema. La sostenibilità, quindi, non è una sovrastruttura etica, ma una nuova grammatica economica che riconosce il legame tra crescita, risorse e coesione sociale.

Giovani e finanza sostenibile: tra consapevolezza e disincanto

A questa riflessione più tecnica si affiancano i risultati della ricerca A prova di futuro. Giovani, sostenibilità e investimenti”, che offrono uno sguardo su come le nuove generazioni interpretano questi temi. Realizzata su 1.200 under-35, l’indagine mostra che il 25% dichiara di tradurre la sostenibilità in scelte finanziarie consapevoli, mentre il 41 per cento la considera un valore fondamentale pur non disponendo di informazioni o strumenti adeguati per applicarla. Tra i prodotti conosciuti e apprezzati emergono i fondi a impatto ambientale (32% tra chi ha già investito), i Btp green (27%) e le obbligazioni o polizze vita Esa (25%).

In generale, il 78% dei giovani ha sentito parlare di investimenti sostenibili e il 28% li ha già sperimentati. Le motivazioni che orientano la scelta sono chiare: la percezione di bassa rischiosità (39%), la presenza di certificazioni autorevoli (38%), la chiarezza delle informazioni (33%) e la volontà di contribuire concretamente al benessere ambientale e sociale (33%). Questo approccio, tuttavia, convive con un senso diffuso di incertezza informativa. Molti riconoscono l’importanza del tema ma lamentano la mancanza di strumenti comprensibili e di informazioni affidabili. Il 41 per cento degli intervistati afferma di non sentirsi sufficientemente preparato a distinguere tra prodotti realmente sostenibili e operazioni di facciata, mentre il 34 per cento ritiene che le istituzioni finanziarie non comunichino in modo chiaro o proattivo le opportunità disponibili. È un segnale evidente che la sostenibilità, pur diventando un valore condiviso, non è ancora supportata da un ecosistema informativo capace di tradurla in comportamenti concreti.

Si delinea così un paradosso generazionale: la fascia d’età che più crede nella finanza sostenibile è anche quella che meno si fida della capacità del sistema di realizzarla. La fiducia, oggi, non si conquista con i proclami, ma con la trasparenza, la verificabilità degli impatti e la chiarezza dei risultati. Solo una comunicazione onesta e accessibile potrà trasformare la sensibilità diffusa dei giovani in una partecipazione consapevole, capace di orientare la finanza verso un reale cambiamento.

Fondi pensione: la promessa incompiuta della sostenibilità istituzionale

In questo scenario, i fondi pensione rappresentano un attore cruciale e al tempo stesso problematico. Gestendo capitali di lungo periodo e godendo di un mandato fiduciario, essi avrebbero tutte le caratteristiche per essere i protagonisti della transizione sostenibile. Eppure, i dati mostrano una realtà più complessa e contraddittoria. L’indagine ET.Group–Assofondipensione del 2025 registra un progresso indubbio: quasi l’80 per cento dei fondi dispone oggi di una policy Esg, rispetto al 37,5 per cento del 2019, e oltre i due terzi dichiarano di condurre attività di engagement (intesa come strategia di investimento sostenibile e responsabile orientata al cambiamento) con le imprese in portafoglio. Tuttavia, dietro questo avanzamento quantitativo si nasconde una carenza strutturale di qualità e di profondità strategica. L’82 per cento dei fondi non ha ancora realizzato una mappatura sistematica degli stakeholder e la quasi totalità non dispone di un’analisi di materialità, ossia di uno strumento che identifichi i temi Esg realmente rilevanti rispetto alla propria missione previdenziale. In molti casi, la sostenibilità rimane confinata a un esercizio di conformità, utile per soddisfare requisiti regolatori o per alimentare la narrazione reputazionale, ma ancora distante da una logica di impatto reale. Anche le pratiche di engagement, spesso presentate come elemento distintivo, restano episodiche e scarsamente rendicontate. Soltanto una minoranza dei fondi pubblica i risultati dei dialoghi con le imprese partecipate, e poche organizzazioni monitorano sistematicamente gli effetti di tali interazioni sul comportamento aziendale.

La sensazione è che la sostenibilità, pur essendo ormai parte del lessico istituzionale, non sia ancora diventata una grammatica di governo. Molti fondi parlano di sostenibilità ma pochi la praticano come criterio decisionale, e ancor meno la trasformano in una leva per generare valore collettivo. Si rischia così una forma di “engagement washing”, dove le dichiarazioni d’intenti non trovano corrispondenza nelle scelte effettive di allocazione e di gestione. È un rischio grave non solo per la credibilità del sistema, ma anche per il patto fiduciario che lega gli enti previdenziali ai loro iscritti, in particolare ai più giovani. L’adesione formale ai principi Esg non basta più, così come non basta citare l’engagement negli eventi, comunicati stampa o sui social per legittimare una strategia. La sfida è quella di trasformare la sostenibilità da linguaggio regolatorio a progetto culturale.

Verso una finanza sostenibile

La Settimana Sri 2025 ci ricorda che la finanza sostenibile è un processo e non un traguardo. Essa rappresenta un laboratorio in cui si misurano le tensioni tra intenzione e risultato, tra narrativa e coerenza, tra opportunità economica e responsabilità sociale. I giovani, più di altri, percepiscono questa distanza e la trasformano in domanda di autenticità.

Per colmare questo divario non basta moltiplicare le iniziative o le policy, ma serve un mutamento profondo di mentalità, capace di coniugare competenza finanziaria, cultura del lungo periodo e trasparenza relazionale. Solo una finanza che impara a misurare ciò che conta, e non soltanto a contare ciò che misura, potrà restituire credibilità al suo impegno per un futuro sostenibile.


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