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Google si fa largo nello spazio. Cos’è il progetto Suncatcher

Big G è pronta a rivoluzionare il mondo dell’intelligenza artificiale, realizzando data center in orbita. I primi dovrebbero essere lanciati all’inizio del 2027. In questo modo ridurrebbe l’impatto ambientale, oltre che i costi. Ma c’è bisogno di tempo per capire la fattibilità e la sostenibilità del progetto

Quanto spazio c’è nello spazio? Vista l’ultima suggestione, ovvero il progetto Suncatcher, a chiederselo potrebbero essere varie persone dentro Google. Complice l’abbassamento dei prezzi, Big G starebbe pensando di installare data center in orbita. Il primo dovrebbe venire lanciato all’inizio del 2027, a circa 400 miglia, sfruttando decine di satelliti a energia solare alimentati con processori ottimizzati (Tpu) per l’addestramento e l’apprendimento dell’intelligenza artificiale. Questi pannelli sono otto volte più efficienti rispetto a quelli terrestri e riducono lo sfruttamento di risorse naturali che servono per il raffreddamento. “In futuro, lo spazio potrebbe essere il posto migliore per far crescere i computer di IA”, affermano dall’azienda, sicuri che il loro piano rappresenta “una prima pietra miliare verso un’IA spaziale”. Tuttavia, precisano da Mountain View, “restano importanti sfide ingegneristiche, come la gestione termica, le comunicazioni terrestri ad alta larghezza di banda e l’affidabilità del sistema in orbita”.

Non è un’idea nuova. Entro la fine del mese, ad esempio, SpaceX e la startup Starcloud dovrebbero lanciare in orbita i chip di Nvidia. “Presto avrà molto più senso costruire data center sullo spazio e non sulla terra. Nello spazio si ottiene energia rinnovabile pressoché illimitata e a basso costo”, afferma il co-fondatore Philip Johnston, che ne fa anzitutto una questione di impatto ambientale. “L’unico costo per l’ambiente sarà il lancio”, aggiunge ricordando che ogni lancio ha un impatto sull’ozono stratosferico. “Dopodiché si risparmieranno dieci volte le emissioni di anidride carbonica durante la vita utile del data center rispetto all’alimentazione terrestre”.

L’energia è d’altronde uno dei più grandi crucci dell’IA. Per i data center spaziali, però, viene richiesto solamente un sistema di raffreddamento a circuito chiuso, tramite evaporazione, e radiatori di scarico. Inoltre, il fatto che i satelliti saranno continuamente esposti alla luce solare potrebbe risolvere il problema di dove andare a prendere l’energia. Rimane però il dilemma sui detriti spaziali, che si andranno inevitabilmente a moltiplicare.

Un punto di domanda da sciogliere rimane il costo. Sicuramente sarà inferiore a quello che viene richiesto per costruire un contenitore di dati sulla Terra. Da qui ai prossimi anni le Big Tech contano di spendere circa 3.000 miliardi di dollari per la loro realizzazione – contribuendo alle preoccupazioni sulle conseguenze climatiche. Una soluzione potrebbe arrivare però da Elon Musk, che in un tempo ancora indeterminato dovrebbe annunciare il nuovo razzo Starship. Rispetto al Falcon 9, può trasportare da quattro a sette volte il carico utile massimo e sarà completamente riutilizzabile. Abbattendo così i costi di almeno trenta volte.

Ma servirà ancora parecchia pazienza prima di avere la certezza che l’intero progetto Suncatcher sia fattibile e sostenibile. Le rivoluzioni non si fanno dall’oggi al domani.


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