Gennaro Sangiuliano potrebbe essere considerato come il nuovo Emil Ludwig, lo scrittore e giornalista tedesco (1881-1948) che in quasi mezzo secolo ha biografato tutto quello che poteva, antichi e moderni, intellettuali e politici. Non diversamente, il neo-direttore del Tg2 da anni sta indagando nelle pieghe del secondo Novecento e in quelle del nuovo secolo per raccontare il nostro tempo attraverso alcuni dei personaggi più significativi che lo caratterizzano . E tra gli autori di nuova generazione che hanno messo a frutto la loro curiosità congenita è forse quello che meglio riesce ad andare al di là della pennellata d’occasione, per scrivere di vite eccellenti supportato da una cultura vasta almeno quanto la capacità di documentazione che riesce a scovare. I libri di Sangiuliano non sono “instant book” da consumare nello spazio di un evento che evapora e nulla lascia. Sono racconti di esistenze che segnano l’epoca con la loro personalità e l’analisi sul lettino che il biografo compie come se stesse sezionando un corpo è di quelle che rimangono. Pur avendoli letti al momento dell’uscita ci piace segnalare le biografie di Sangiuliano apparse in quasi dieci il cui meritato successo è tutt’altro che volatile come dimostra l’attenzione che ad esse continua ad essere riservato, al di là delle ristampe e delle riedizioni.
Conoscendolo da vicino, e da tempo immemorabile, posso dire che Sangiuliano la passione per le “vite degli altri” – fedele alla definizione di Nietzsche secondo cui la storia non è che una serie infinita di biografie – l’ha presa alla larga. Giovanissimo, interessato più ai fatti che alle ideologie, si è occupato di fenomeni storici al centro dei quali vi erano sempre personaggi che davano il tono agli eventi. E non soltanto politici in senso stretto. Potrei dire che in principio fu Giuseppe Prezzolini del quale Sangiuliano colse non soltanto l’aspetto di “demiurgo” della cultura dei primi decenni del Novecento, ma anche l’intima natura conservatrice che, paradossalmente, ben si sposava con l’indole anarchica. Studi “matti e disperatissimi”, con il tempo sottratto alla frenetica attività giornalistica, gli fecero scodellare nel 2008 la migliore biografia del Nostro: Giuseppe Prezzolini: l’anarchico conservatore (Mursia), un saggio che si legge come un romanzo, anche perché romanzesca è stata la vita del biografato, ma che non si esaurisce nel descrivere l’avventura intellettuale di Prezzolini. Infatti, l’autore, opportunamente lega questa alla complessiva vicenda culturale e politica del secolo scorso, offre un’interpretazione storica del cammino e dell’influenza delle idee nei mutamenti intervenuti in uno dei periodi cruciali della nostra vicenda nazionale.
Prezzolini è stato un “testimone scomodo” del Novecento, poiché l’ha attraversato sezionandolo e, nel contempo, contribuendo a formarlo. Con tutta evidenza non c’è riuscito poiché se i suoi orientamenti avessero influenzato nel profondo i costumi e la politica, probabilmente noi oggi parleremmo un’altra lingua, non saremmo stati turlupinati dai demagoghi che ce l’hanno data a bere, non avremmo subito l’oppressione dei mediocri e dei voltagabbana, per sfuggire ai quali, nel 1925 Prezzolini decise di mettere tra lui e l’Italia l’Oceano, dopo un breve soggiorno nella capitale francese. E l’Italia non gliela perdonò. L’Italia ufficiale, naturalmente, l’Italia dei partiti post-fascisti, resistenziali e democratici i quali, com’è noto, soggiacevano alla cultura comunista, ne erano subalterni quando non schiavi. Sangiuliano, raccontando minuziosamente tutti i passaggi della vita e dell’opera dello scrittore, come nessuno aveva fatto prima, da napoletano arguto, coltissimo e raffinato, riesce a penetrare nelle pieghe di un pensiero tumultuoso, a volte contraddittorio, sempre illuminato dall’intelligenza e dalla volontà di ricerca. Un pensiero che si formò in maniera asistematica e che produsse frutti strepitosi a giudicare non soltanto dalla vasta bibliografia prezzoliniana, ma dall’influenza che esercitò, giovanissimo, insieme con Papini, Soffici, e le riviste “Leonardo”, “La Voce”, “Il Regno”, sulla cultura del tempo, segnando una stagione irripetibile che preparò, in qualche modo, la nuova Italia. “La Voce” resta il suo capolavoro; una palestra di libertà intellettuale come non se ne sarebbe vista mai più. Essa nasceva perché Prezzolini ed i suoi collaboratori, a cominciare da Papini, “sentivano fortemente l’eticità della vita intellettuale, e ci muove il vomito a vedere la miseria e l’angustia e il rivoltante traffico che si fa per le cose dello spirito”. Era la risposta che una certa Italia attendeva.
Da Prezzolini a Lenin – non diversamente da come era uso saltare da un estremo all’altro Ludwig – il passo è indiscutibilmente lungo, ma non impossibile. Sangiuliano , acrobaticamente, si è innamorato anche dell’inventore della rivoluzione moderna e nel 2012 ci ha deliziato con Scacco allo zar. 1908-1910:Lenin a Capri,genesi della Rivoluzione (Mondadori) nel quale ha affrontato il tormento e l’estasi del più formidabile utopista della storia moderna nel suo apprendistato sovversivo, fatto di sogni, di speranze e di ricerca spasmodica delle risorse necessarie per portare a compimento il suo disegno addolcito dal golfo di Napoli, da un paesaggio incantato, da passioni febbrili. Il raccoglimento di Sangiuliano intorno ad una simile figura è a tratti lirico, a tratti religioso, ma senza mai perdere il filo della realtà che sotto gli occhi dello storico si andava componendo.
Né più né meno di come si è composta la vita di un altro russo eccellente passato sotto la lente d’ingrandimento di Sangiuliano, l’oligarca amletico, finalmente disvelato nella sua “russità” che è lo sfondo sul quale si situa la sua opera di ricostruttore della Russia “eterna”: Putin. Vita di uno zar (Mondadori), è del 2013, ma sembra scritto oggi. Talmente ricca è questa biografia da farci intravedere che quanto il leader del Cremlino ha compiuto negli ultimi cinque anni era già tutto scritto nella storia che meticolosamente Sangiuliano ha narrato.
“Personaggio controverso, come tutti coloro che sono destinati a lasciare un segno, Vladimir Putin è indubbiamente un protagonista del nostro tempo – si legge nella biografia. Anzi, le ultime vicende di politica internazionale ne hanno rilanciato il ruolo nello scacchiere geopolitico globale. Eppure, della sua vita, come delle sue più intime convinzioni, di quei dettagli capaci di tratteggiare compiutamente una personalità, si sa poco. La convinzione comune è quella che la sua vita sia avvolta da un alone di mistero, alimentato soprattutto dal suo passato di ufficiale del temibile Kgb, il servizio segreto dell’era sovietica e, probabilmente, l’unico apparato veramente efficiente nella lunga era comunista”.
L’obiettivo di Sangiuliano era quello di ricomporre i frammenti duna vita controversa, problematica e “avvelenata” dall’utilizzo delle chiacchiere piuttosto che dallo scavo nei documenti e nei fatti. Operazione riuscita. “Ricostruirne la biografia, oltre i luoghi comuni e le tante leggende mai verificate – si era premurato di avvertire l’autore – significa non solo raccontare un protagonista del nostro tempo ma penetrarne idee, convinzioni e magari prospettarne le mosse future. Questo partendo da un punto chiave: la vicenda individuale di Vladimir Vladimirovič Putin deve essere narrata nel contesto della storia russa con cui si intreccia e di cui è un figlio a tutto tondo”.
È questo, forse, il libro più difficile, ma il più denso di significato storico-politico di Sangiuliano anche se Quarto Reich. Come la Germania ha sottomesso l’Europa (dedicato ad Angela Merkel) del 2014 scritto (Mondadori) insieme con Vittorio Feltri – la coppia ha pubblicato anche Una Repubblica senza patria (Mondadori, 2013) – è uno di quei libri che anticipano gli eventi.
Angela Merkel è stata detestata e temuta, soprattutto in Italia, perché ha saputo rappresentare e tutelare gli interessi del suo Paese come nessun altro leader europeo. Che abbia saputo anche “maneggiare” le politiche dell’Unione è incontestabile. Ma è pur vero che si è avvalsa di un’economia in progressiva crescita fin dal 1990, l’anno dell’unificazione tedesca, per primeggiare in un Continente dove le dinamiche sociali soffrono di appesantimenti burocratici e partitici che certo non ne agevolano l’uscita dalla crisi. “Siamo noi che non siamo capaci di darci una Merkel italiana.
Forse dobbiamo accettare l’idea che di fronte al Quarto Reich, c’è solo da restare ammirati”, scrivono gli autori. provocatorio nel titolo, ma denso e costruito con inoppugnabili dati di fatti, smentendo, una volta per tutte, la vulgata secondo la quale la Cancelliera sarebbe nostra nemica. Certo,“la ragazza venuta dall’Est” avrà pure manovrato per acquisire il ruolo a cui aspirava, ma se nei fatti l’Unione ha subito la forza tedesca è più per la debolezza dei suoi membri che per la volontà di potenza di una nazione che da oltre un secolo fa di tutto per conquistare un “posto al sole”.
Insomma, al di là delle banalizzazioni che Feltri e Sangiuliano s’incaricano di smantellare, il “Quarto Reich” non deve evocare nessuno spettro: è solo la formula brillante per definire il neo-imperialismo germanico alla cui demonizzazione ci si dedica quasi maniacalmente senza guardare alle deficienze che l’hanno reso possibile. Le nostre miserevoli condizioni politiche hanno di certo, insieme con quelle di altri Paesi reso possibile il primato tedesco. Ma si sarà capaci di promuovere un radicale riequilibrio dei rapporti di forza nell’Unione europea affinché all’ “Europa germanica” succeda una “Germania europea”? E’ intorno a questo interrogativo che ruota il libro nelle cui pagine scorre il racconto degli ultimi tre anni che hanno segnato anche istituzionalmente la vicenda italiana e su cui occorrerebbe fare luce. La Merkel, indubbiamente, ha avuto una parte tutt’altro che secondaria perfino nell’avvicendamento dei governi, ma chi le ha dato corda prima o poi dovrà storicamente e politicamente risponderne.
Scioltasi la coppia, Sangiuliano si è buttato nel 2016, sulla ex-first lady Hilary Rodam Clinton. Dopo aver letto questa densa biografia ci si può onestamente chiedere, al di là di ogni pur legittimo pregiudizio favorevole o contrario, come ha potuto una donna che ha consacrato la sua vita al potere personale, arrivare ad un passo dalla Casa Bianca, che già aveva abitato e monopolizzato per otto anni, al seguito del marito. L’ex-first lady, la senatrice democratica, la candidata che si muoveva sull’onda dei sondaggi, l’ispiratrice e la zelante complice di Bill Clinton in ogni stagione della loro vita comune, non ha avuto altri scopo che quello di servire la sua ambizione. La storia che Sangiuliano narra in Hillary. Vita e potere di una dinastia americana (Mondadori), sembra tratta, almeno come ispirazione, dalla serie televisiva “House of card” o forse – almeno questo è il dubbio che ci assale – è proprio lo sceneggiato interpretato magistralmente da Kevin Space Robin Wright ad essersi, in qualche modo, rifatto alla vicenda reale di “Billary”, vale a dire al sodalizio politico-coniugale più controverso, intrigante e solido contemporaneo.
Resta il fatto che Sangiuliano, raccontandoci una vicenda che ha del romanzesco ci rivela come attraversando spregiudicatamente la palude degli scandali, i trabocchetti elettorali, gli agguati dei media, le asperità dell’alta finanza si possa arrivare fin nello Studio Ovale, il cuore del potere mondiale, e recitare da quel ponte di comando un ruolo che ci si è prefisso fin da giovani, quando si calcavano le scene dei campus universitari, laboratori di contestazioni ed estremismi che sarebbe servirti nella lunga marcia verso Washington.
Hillary e Bill hanno saputo vivere le stagioni dell’America post-kennedyana rifiutando di cristallizzarsi nella coerenza giovanile, legandosi ad emergenti di scuro avvenire (Jimmy Carter per esempio) e scoprendo che il mondo si apriva a loro ed entrava nelle vite che si costruivano con caparbia ed intelligenza; in altri termini, superando incomprensioni e dissapori, semplicemente rendendosi disponibili reciprocamente a tollerarsi in vista di traguardi più alti.
Hillary ha creato Bill; Bill ha provato a ricambiare il favore, ma sul filo di lana non lui, bensì l’establishment è caduto sotto il peso della rivolta populista (e la si smetta di demonizzare termine e concetto una buona volta, soltanto perché si è a corto di offese efficaci) che loro stessi, giovani studenti a Yale, pure avevano cavalcato, così come al tempo delle elezioni per la conquista dello Stato dell’Arkansas, vinte e perse da Bill, tenacemente sostenuto da Hillary che sessualmente ed allegramente tradiva.
Già, il tradimento. È un capitolo importante della storia. L’ex-first lady ha investito molto su di esso. Come nell’Italia del Quattro-Cinquecento, non diversamente da quella che era la Camelot progressista della seconda metà del secolo scorso. A fronte di rivelazioni inoppugnabili, elencate con meticolosità e eleganza da Sangiuliano che in nessuna pagina indugia su lla morbosità cui indubbiamente il tema si presta, Hillary è sempre stata dalla parte di Bill. E Bill le ha attribuito ruoli decisionali, nella piccola Little Rock, quando era governatore, come alla Casa Bianca; ruoli da protagonista politica che nessun’altra ha mai ottenuto dal marito governatore o presidente nella storia americana, con la sola eccezione, forse, di Eleanor Roosevelt. Ruoli assolti tra ombre e luci: più le prime che le seconde, come con dovizia di particolari ci ricorda Sangiuliano, ma che hanno costituito le premesse per poter ottenere ancora di più quando i coniugi esaurirono il loro mandato.
Hillary, avvocato di successo, grande tessitrice di rapporti con l’alta finanza ed il mondo delle professioni, non si sarebbe mai rassegnata a fare la parte dell’ex. Da quando, “Goldwater-girl”, giovanissima militante repubblicana e conservatrice, sognava per se stessa un destino più luminoso di una qualsiasi ambiziosa signorina dell’Illinois, nata a Park Ridge, un sobborgo di Chicago, Hillary ha percorso tutto intero il cammino gremito di contraddizioni e compromessi. Tanto gli uni che gli altri sono stati la sua forza e la sua debolezza. Quando ha vacillato è riuscita a reggersi; nel momento delle disfatte familiari e personali ha saputo reagire più e meglio del marito che ha sempre difeso, al di là di qualsiasi comprensibile risentimento, fino alla soglia dell’impeachment per il “caso Lewinsky; nel momento di cambiamenti epocali non ha esitato a gettare al vento antiche convinzioni; è stata antimilitarista quando la storia soffiava in quel senso, spregiudicatamente militarista pochi decenni dopo al volgere di altri momenti che esigevano cinismo piuttosto che realismo.
L’ultima biografia di Sangiuliano è del 2017. Editore sempre Mondadori. Non poteva avere altro soggetto che il presidente più eccentrico e controverso, più divisivo e contraddittorio dell’ultimo secolo: Trump. Vita di un presidente contro tutti. E così un anno dopo l’intrusione nella Casa Bianca, Sangiuliano ha deciso, giacché c’era, di restarsene acquartierato lì, dove, nonostante tutto, i destini del mondo vengono tenuti per i fili, sia pure da un manovratore piuttosto maldestro che, probabilmente, il presidente degli Stati Uniti non lo voleva fare: gli bastava conquistare la ribalta, acquisire ancor più notorietà di quanta ne avesse già accumulata ed insieme incrementare la sua colossale fortuna economica e finanziaria.
Quando si presentò come candidato gli risero in faccia. Per di più repubblicani come McCain non scommettevano su di lui per il semplice fatto che non lo ritenevano un repubblicano, tantomeno un conservatore: in passato si era dichiarato democratico e molte delle sue idee erano (e restano) lontanissime da quell’Old Grand Party che Ronald Reagan rivitalizzò e portò al successo insieme con l’America. Allora sì, America first. Sangiuliano, ripercorrendo tutta la vita del Tycoon, osserva: “Trump non à un intellettuale ma ha colto il senso del tempo. Potrebbe rivelarsi la risposta sbagliata a problemi reali e rivendicazioni fondate. Demonizzarlo non serve. Non aiuta a capire”.
Ed infatti, leggendo questa densa e particolareggiata biografia, Trump lo si comprende soltanto affondando lo sguardo nelle sue origini, nelle ambizioni realizzate e in quelle frustrate, nel suo carattere non definibile secondo parametri comuni, nella volubilità che gli fa prendere decisioni contraddittorie, ma anche nella capacità di mettersi in contatto con quella parte di America di “esclusi” dalla globalizzazione: quasi un paradosso che ad interpretarla sia uno degli uomini più ricchi del Pianeta. Come contraddittoria e paradossale è tutta l’America di oggi raccontata da Sangiuliano con un piglio, direi, prezzoliniano.