Quello che è appena iniziato, sarà un anno cruciale per i destini dell’Europa sud-orientale. Il consolidamento definitivo di alcune realtà, nuove sfide per Bruxelles, che dovrà fare i conti con una regione carica di contrasti, destinata a influire sugli equilibri del Vecchio continente.
E partiamo con un Paese, la Turchia, che in Unione Europea è sempre più difficile che entri, ma che all’Unione Europea, come ad altri Paesi, sta creando sempre più problemi per via della sua politica estera sempre più spregiudicata e ai limiti dell’ondivago. Dal punto di vista della politica interna, il Presidente della Repubblica, Recep Tayyip Erdogan, il 31 affronterà elezioni amministrative che, con la nuova forma presidenziale della Repubblica turca, valgono come elezioni politiche. Nella Mezzaluna, infatti, si vota a colpo secco su tutto il territorio nazionale. Questo significa che il voto amministrativo sarà un test molto importante per la tenuta del capo di Stato, ma soprattutto del suo partito Akp, che proprio alle politiche del 2018, aveva dato qualche segno di rallentamento. Bisogna poi contare che, con la mancanza di un primo ministro e l’indebolimento dell’azione parlamentare, i sindaci più carismatici possono diventare pericolosi oppositori. Meglio quindi non lasciare spazi aperti e conquistarne anche di nuovi. Gli occhi sono puntati su Istanbul, da sempre nelle mani del partito di Erdogan, ma dove le percentuali negli ultimi due anni si sono fatte più risicate. Il presidente ha anche l’obiettivo, ambizioso, di mettere sotto il suo controllo Smirne, la città simbolo dei laici in Turchia e di strappare ai curdi nel sud-est del Paese città vitali per la loro azione politica come Diyarbakir. Dal punto di vista della politica estera, la Mezzaluna sarà impegnata soprattutto su due fronti. Il primo è ovviamente la Siria. Gennaio vedrà un susseguirsi di visite, summit e telefonate ad alto livello. Donald Trump si recherà ad Ankara ed Erdogan incontrerà i presidenti russo e iraniano, Putin e Rohani, a Mosca per trovare un accordo sul futuro della Siria, anche per quanto riguarda le posizioni lasciate scoperte dal ritiro americano, annunciato a non ancora esposto nei dettagli. L’altro fronte caldo per il presidente, è il Mediterraneo orientale, dove la Turchia, di concerto con l’alleato russo, sta contendendo al blocco filo-occidentale l’indagine sui fondali al largo di Cipro, che contengono ingenti giacimenti di gas.
Nei Balcani, occhi puntati sulla Macedonia. Il premier, il socialdemocratico Zoran Zaev, entro il 15 gennaio, deve chiudere le votazioni in Parlamento per cambiare ufficialmente il nome della Macedonia in Repubblica di Macedonia del nord, come prevede l’accordo firmato con la Grecia a Prespa lo scorso giugno. Un’operazione destinata a non rimanere senza conseguenze, comunque finisca. Se la votazione passa, il Paese potrà iniziare il cammino verso la Nato e l’Ue, ma va incontro a possibili disordini interni, fomentati soprattutto dal partito di opposizione Vmro-Dpmne, che per il suo appoggio alla riforma costituzionale e all’accordo con i greci, ha chiesto la scarcerazione di un numero sempre maggiore di persone coinvolte nell’attacco al Parlamento di Skopje del 2017. Una condizione pericolosa per la stabilità interna, tanto più che in aprile ci saranno le elezioni presidenziali. Il conservatore George Ivanov, del partito Vmro-Dpmne e giunto al suo secondo mandato, che più volte è intervenuto in modo poco imparziale nella vita politica del Paese, vorrebbe tornare alla politica attiva e magari fare in modo che il premier Zaev sia costretto alle elezioni politiche anticipate.
Le votazioni e la situazione macedone ha impatto diretto su quello che succede in un Paese confinante che seguiamo da tempo: la Grecia. Per il premier Tsipras non sarà un anno per niente facile. Il primo ministro deve passare dal suo Parlamento per ratificare l’accordo con Skopje, che in patria è stato criticato da molti. Il 26 maggio, quando sono previste le elezioni europee, in Grecia ci sarà anche il voto amministrativo, in vista di quello politico a ottobre, dove Tsipras cercherà la riconferma, ma al quale si avvicina con una strada che definirla in salita è riduttivo. Le percentuali del suo partito, Syriza, sono in picchiata tanto che un election day in maggio, che raggruppi europee, amministrative e politiche è da escludere. Sul fronte estero la Grecia dovrà tenere conto della situazione con gli Stati confinanti, soprattutto per quanto riguarda la Turchia, con cui ha in piedi dispute mai sopite sulle acque territoriali e che sono fonte di costanti tensioni.
Sempre nella regione, occhio anche all’Albania, che quest’anno andrà a elezioni amministrative, ma che è da monitorare a causa delle proteste studentesche che si sono susseguite nel mese di dicembre e che non sono ancora rientrate del tutto.