Le interferenze di Mosca e il cosiddetto Russiagate – l’inchiesta sulle attività per influenzare le elezioni presidenziali del 2016 negli Stati Uniti, attribuite dall’intelligence Usa al Cremlino – continuano a tenere banco oltreoceano.
L’OPERAZIONE CONTRO L’IRA
Una operazione di contro spionaggio Usa – ha riportato il Washington Post, citando fonti a conoscenza dell’accaduto – avrebbe bloccato l’accesso a Internet della cosiddetta ‘fabbrica dei troll’ russa, durante le elezioni di midterm del 2018. L’operazione contro la Internet Research Agency, la società con sede a San Pietroburgo, che fa capo a un oligarca vicino a Vladimir Putin, sarebbe stata condotta nell’ambito dell’offensiva studiata per impedire a Mosca di interferire nei processi elettorali americani. “In pratica hanno messo offline la Ira, li hanno fatti chiudere”, ha spiegato al quotidiano Usa una fonte anonima. Si sarebbe trattato della prima operazione di rilievo condotta dal Cyber Command, con il sostegno della National Security Agency, in base ai nuovi poteri accordati lo scorso anno alle due agenzie dal presidente Donald Trump e dal Congresso, per ampliarne le capacità offensive. Resterebbe da valutare, scrive ancora il Post, se l’attacco Usa alla ‘fabbrica’ di San Pietroburgo avrà un impatto duraturo. Le tattiche russe si evolvono in continuazione e alcuni analisti rimangono scettici sull’impatto che queste azioni possono avere sia sull’Ira di San Pietroburgo (sospettata di lavorare) per conto del Cremlino sia sullo stesso Putin che, secondo l’intelligence Usa, avrebbe ordinato in prima persona di lanciare una campagna per “influenzare” gli elettori americani.
LE CONDANNE IN RUSSIA
Un’altra notizia è invece arrivata proprio dalla Russia, dove un ex dirigente dell’intelligence russa (Fsb) e un ex dipendente della società di sicurezza informatica Kaspersky Lab sarebbero stati condannati a lunghe pene detentive per alto tradimento, secondo quanto riferito oggi dalle agenzie di stampa del Paese. Il motivo preciso per la loro condanna non è noto, il caso è classificato come top secret, ma secondo i media russi, i condannati avrebbero rivelato ai servizi speciali Usa proprio i nomi degli hacker russi coinvolti in atti di pirateria contro il Partito Democratico statunitense nel 2016. Sergey Mikhalkov al momento del suo arresto era il vice capo del Centro per la sicurezza IT della Fsb, e Ruslan Stoyanov, allora capo del cybercrime Investigation Service di Kaspersky Lab, sarebbero stati condannati a 22 anni e 14 anni di carcere: questo l’esito di un processo a porte chiuse a Mosca. Il destino di un altro fermato, Dmitry Dokutshev, accusato sempre a febbraio 2017, sarebbe sconosciuto.
ASPETTANDO COHEN
Il tutto è giunto mentre ieri, nella notte italiana, è partita la tre giorni di testimonianze (già rimandata in precedenza) che vede protagonista Michael Cohen (condannato a tre anni di carcere da un tribunale di New York) e che potrebbe gettare nuove ombre sul presidente americano (visto anche il costante pressing dei democratici). La riunione alla commissione Intelligence del Senato si svolgerà a porte chiuse e riguarderà il lavoro dell’ex avvocato di Trump per il tycoon e i collegamenti della campagna presidenziale del 2016 con la Russia, focus del Russiagate. Mercoledì, invece, la testimonianza davanti la commissione di Supervisione sarà pubblica. Giovedì domande nuovamente a porte chiuse per la commissione Intelligence della Camera. Il legale di Cohen Lanny Davis ha dichiarato alla Abc News che il suo cliente darà dettagli personali e di prima mano della condotta di Trump che faranno “rabbrividire” anche gli uditori più temprati. Secondo le anticipazioni delle dichiarazioni che Cohen farà davanti al Congresso, in parte pubbliche e trasmesse dai media, l’ex legale dirà (o avrebbe già detto) che il magnate era solito fare commenti razzisti, mentiva e fu coinvolto in reati penali mentre era in carica, agiva per vantaggi personali o negli affari, anche per evitare le tasse. Ma, soprattutto, che sapeva in anticipo che Wikileaks era in possesso di e-mail piratate potenzialmente dannose per l’allora sua rivale Hillary Clinton candidata democratica alla presidenza Usa e che le avrebbe pubblicate.
Non sarebbe tardata la risposta della Casa Bianca, che con la sua portavoce Sarah Sanders – riporta The Hill – avrebbe detto che “il criminale caduto in disgrazia Michael Cohen andrà in prigione per aver mentito al Congresso e aver dichiarato altra falsa testimonianza”. Mentre su Twitter, lo stesso Trump ha scritto: “Michael Cohen era uno dei tanti avvocati che mi hanno rappresentato (sfortunatamente). Aveva anche altri clienti. È stato appena radiato dalla Corte Suprema di Stato per menzogne e frode. Ha fatto cose cattive non correlate a Trump. Sta mentendo per ridurre il tempo che passerà in prigione”.