Nella conferenza stampa del presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, tesa a motivare la sua scelta di fondo No Tav, le parole più gettonate sono state: “trasparenza” e “condivisione”. Trasparenza per dimostrare il rigore di una scelta contro un’opera, che non risponde ad alcun criterio di economicità. Condivisione: per convincere, ed allargare il fronte degli oppositori contro il secondo azionista del suo governo. Il tutto nel tentativo di dimostrare la sua equidistanza dalle opposte forzature identitarie di Lega e 5 Stelle.
Insomma: è l’avvocato che scende in campo, con ragionamenti che spaccano il capello, per poi costruire su quelle acquisizioni il necessario “da farsi”. Due i principali problemi. Per Conte l’opera è del tutto inutile dal punto di vista della logistica. Nata male, si proietta in un tempo infinito (il 2030) senza garanzia alcuna che quel termine debba essere effettivamente rispettato. Si basa, inoltre, su una tecnologia che più che essere matura rischia di dimostrarsi, in quella proiezione temporale, del tutto obsoleta. Forse – afferma con un pizzico di civetteria – allora avremo i Tir senza conducenti, ma guidati a distanza, grazie all’intelligenza artificiale.
La seconda picconata deriva dalle cosiddette “scelte modali”. Realizzata l’opera, sostiene sempre Conte, il trasportatore dovrà trasbordare il container sul treno, alla stazione di partenza, per poi utilizzare una seconda motrice alla stazione di arrivo. Dov’è allora la convenienza? Per la verità nei documenti predisposti, si parla di una diversa modalità. Sul treno potrà essere caricato l’intero Tir. Una volta giunto alla stazione di fine tratta, potrà quindi riprendere la strada fino alla destinazione finale. Per questo si realizzano quelle grandi opere (il tunnel) che sono indispensabili per consentire quegli standard qualitativi, che giustificano un investimento così elevato.
Il secondo corno del dilemma è invece rappresentato dal finanziamento. La sua ripartizione tra l’Italia e la Francia non è equa: sostiene sempre il presidente del Consiglio. Andrà quindi rivista. Occasione giusta per chiedere anche all’Europa di aumentare l’entità dei contributi previsti. Posizione assolutamente condivisibile. E possibile punto di mediazione futura tra i due diversi contendenti, una volta fatta la tara ad inutili sentimenti identitari. Ma anche un frutto velenoso, che scopre il fianco dei No Tav, mettendo in risalto le loro reticenze ed i loro infingimenti.
Perché l’Europa dovrebbe contribuire ad un’opera che, secondo l’illustrazione del presidente del Consiglio, dovrebbe riguardare solo i rapporti bilaterali tra Francia ed Italia? Questo è l’anello mancante di qualsiasi ragionamento No Tav. Per smontare il quale non è necessario dilungarsi sull’analisi costi – benefici riferita solo ad piccola tratta di un progetto di ben diverse dimensionali. Il Corridoio V che dovrebbe unire Lisbona a Kiev, passando per l’Italia, grazie alla Tav Torino – Lione, per raggiungere Milano, Venezia, Trieste e Lubiana.
Non sappiamo se Giuseppe Conte abbia avuto modo di leggere la relazione tecnica giuridica, predisposta dall’avvocato Pucciariello, per conto del ministro alle Infrastrutture: Danilo Toninelli. In essa alcuni elementi sono precisati, con grande cura. “L’opera, come detto, – si legge nel report – rientra nel programma di una rete di corridoi delle “reti di trasporto trans-europee” o, più correttamente, “rete” (TEN-T, Trans-European Transport Network, includente le principali vie di comunicazione dell’Unione europea)”. Considerazioni che giustificano, ampiamente, un contributo europeo non nell’interesse di questo o di quel Paese, ma dell’Europa nel suo complesso.
Ma di tutto ciò non esiste traccia nel pur lungo discorso del presidente del Consiglio: tutto concentrato invece solo sul cortile di casa propria. Il fatto è ancora più rilevante se si tengono a mente alcune considerazioni svolte da esponenti di primo piano dei 5 stelle. Gianluigi Paragone, ad esempio, in alcune trasmissioni televisive ha sostenuto che quel progetto (il Corridoio V) è stato abbandonato dall’Europa. Concordando con analoghe affermazioni – fatto più che sospetto – di Alfonso Pecoraro Scanio, il non compianto ministro dell’ambiente di Romano Prodi.
Sarebbe quindi opportuno, in nome della “trasparenza” e della “condivisione”, che il presidente del Consiglio facesse chiarezza. Per dirci se stiamo parlando di un piccolo tratto di strada di interesse locale. Oppure dell’anello essenziale di un progetto destinato a “consentire la mobilità senza ostacoli, sicura e sostenibile delle persone e delle merci e di permettere l’accessibilità e la connettività a tutte le regioni dell’Unione, contribuendo all’ulteriore crescita economica e alla competitività in una prospettiva globale”. Come, appunto si legge, nella relazione tecnica – giuridica dell’avvocato Pucciariello.