Ho molti amici che guardano il nostro Paese, per così dire, dal di fuori: si tratta o di italiani istallati all’estero o di stranieri che lavorano in Italia o con l’Italia. In questi giorni questi miei amici mi dicono quasi all’unisono: “Ci risiamo, girate intorno ai problemi ma non capite che dovete cambiare registro; i problemi non sono di natura politica ma tecnica e culturale; quando vi deciderete a fare quel salto di qualità che non potete più rimandare?”.
Tre sono gli argomenti che in questi giorni mi vengono menzionati: il dibattito subappalti sì/subappalti no e l’idea di una cabina di regia nel decreto sblocca-cantieri, nonché l’eterna questione della bassa produttività. Mi permetto di annoiare il lettore raccontandogli brevemente come questi tre problemi vengono visti da chi guarda al nostro Paese con distacco, anche perché questi tre problemi che sembrano molto diversi l’uno dall’altro in fondo sono riconducibili alla stessa matrice. Vediamo i tre argomenti uno ad uno.
SUBAPPALTI SÌ-SUBAPPALTI NO
La Ue vorrebbe che la ditta aggiudicatrice dell’appalto fosse libera di subappaltare senza limiti. Le nostre autorità sono restie a questa liberalizzazione perché temono che dietro al subappalto si nascondano varie illegalità: dalla realizzazione di opere non di qualità all’utilizzo di mano d’opera non qualificata, magari impiegata “in nero”. A Bruxelles – e, più in generale, sopra le Alpi – non si riesce a capire perché il subappalto dovrebbe favorire lo scadimento della qualità dell’opera realizzata e il lavoro in nero.
Se l’opera realizzata corrisponde al capitolato d’appalto, che cosa importa se l’opera viene realizzata direttamente dalla ditta aggiudicatrice o da ditte subappaltatrici? E qui sta il problema. I nostri capitolati non sono sufficientemente dettagliati da permettere una verifica oggettiva del tipo “l’opera realizzata corrisponde sì/no”, ma sono molto generali e vanno interpretati, in modo da richiedere l’intervento di un direttore dei lavori (che non appartiene alla ditta aggiudicatrice ma alla stazione appaltante). D’altra parte gli ispettori che devono giudicare della rispondenza dell’opera realizzata con quella delineata nel capitolato, non sono dei professionisti preparati ad hoc ma dei generalisti tra i quali un ruolo importantissimo è sempre giocato da un giurista, nella fattispecie un magistrato. Qui, per coniugare efficienza e rispetto della legalità, non serve affatto limitare la possibilità di subappaltare quanto fornirsi delle professionalità necessarie: professionalità nella preparazione dei capitolati e nella realizzazione delle ispezioni (non solo al momento della consegna dell’opera ma anche in itinere). Professionalità che presuppongono una concezione del lavoro fondamentalmente diversa da quella oggi prevalente, basata sulla programmazione e gestione del processo produttivo e non sul rapporto fiduciario tra direttore dei lavori e ditta appaltatrice (qui per un approfondimento di questo aspetto). Risulta difficile, per noi italiani, concepire un buon lavoro realizzato da attori diversi non sottoposti in maniera diretta alla stessa autorità. Non riusciamo a concepire il lavoro come processo strutturato in modo tale da poter essere controllato da terzi dotati di professionalità specifiche.
CABINA DI REGIA
Lo strumento della cabina di regia fu introdotto per la prima volta all’inizio degli anni ’90 dal governo Dini per tentare di sbloccare l’utilizzo dei fondi comunitari. La cabina di regia di Dini non ha avuto nessun successo. L’utilizzo dei fondi comunitari non è certo migliorato. Dove sta l’inghippo? Si tenta di ovviare alla mancanza di coordinamento creando un ulteriore livello gerarchico e non programmando il processo attraverso cui i fondi devono essere impegnati. In questo modo si crea una sorta di collo di bottiglia, come collo di bottiglia è il direttore dei lavori negli appalti. Per sbloccare i cantieri, non solo non dovrebbe essere creato un ulteriore livello gerarchico attraverso l’istituzione della cabina di regia, ma dovrebbe anche essere abolito il Rup (responsabile unico di procedimento) e limitarsi a dare corretta applicazione allo strumento del responsabile di procedimento così come previsto dal comma 5 della legge 241 del 1990 (in questo articolo una più esaustiva trattazione del problema)
In questi due casi (subappalti sì/subappalti no e cabina di regia) si presenta un elemento in comune: la ricerca della soluzione nel meccanismo del rapporto fiduciario con qualche ruolo gerarchico cruciale cui viene affidata la responsabilità del lavoro da eseguire. Non si prende in considerazione la opportunità di programmare il lavoro ex ante come un processo codificato il cui controllo va affidato a professionalità specifiche.
A questo punto dobbiamo chiederci se la nostra bassa produttività non sia riconducibile alla nostra cultura del lavoro. Per chi guarda al nostro Paese dal di fuori la cosa è certa. Vediamo un po’ come ragionano i nostri amici. L’altro giorno un collega franco-irlandese che lavora in Italia dalla fine degli anni ’70 mi ha riassunto il problema con questa frase emblematica: “Noi al nord delle Alpi, quando dobbiamo realizzare qualche cosa, ci chiediamo cosa bisogna fare, come bisogna farlo e in che ordine e solo dopo ci chiediamo chi lo deve fare, laddove il chi è definito in termini di professionalità; voi, al di sotto delle Alpi, vi chiedete subito di chi vi potete fidare per farvi aiutare a fare quello che va fatto”. Posso aggiungere che il costo del lavoro per unità di prodotto (Clup) da noi è intorno al 60% dei costi totali mentre al di sopra delle Alpi è meno della metà.
Non è con il regolare il rubinetto dei subappalti (che richiama l’alternativa efficienza versus legalità) o con il rafforzare la gerarchia introducendo ulteriori livelli gerarchici (cabina di regia) che si sbloccheranno i cantieri e non è con misure di politica economica che la produttività aumenterà. Quella di far crescere la produttività con misure macroeconomiche era una illusione di Ciampi che tenne alto il tasso di cambio della lira per spingere la produttività delle nostre imprese sino ad essere poi obbligato ad abbassare la diga e a subire una svalutazione intorno al 60%.
Concordo con i miei amici che guardano al nostro Paese con un certo distacco: è ora che smettiamo di curare i sintomi del nostro malessere e prendiamo consapevolezza delle cause profonde dei nostri problemi.