Ultima chiamata Usa a Erdogan. La Turchia smetta di “provocare” nel Mediterraneo orientale (si veda all voce gas). Le parole sono state pronunciate dal vice segretario di Stato Usa, Matthew Palmer, in occasione della sua visita a Nicosia. Troppo ampio il solco scavato da Ankara, che punta al gas della Zona economica esclusiva di Cipro dove ha inviato la nave oceanografica Fatih per ricerche illegali, contribuendo all’aumento della tensione in un fazzoletto di acque dove sono puntati gli occhi di tutto il mondo: perché proprio lì si sta distendendo la nuova geopolitica legata al dossier energetico. Nicosia sempre più centrale, con Israele e Grecia, nella nuova geografia energetica mediterranea.
QUI USA
“Provocatorie”. Definisce così Palmer le azioni intraprese dalla Turchia nel Mediterraneo orientale, come appendice allo scontro dello scorso anno con la Sesta Flotta Usa che giunse in soccorso di Exxon. È la ragione per cui il governo americano si schiera a sostegno delle autorità cipriote nello sfruttare e sviluppare le sue risorse energetiche, come il diritto internazionale garantisce a Nicosia e non ad Ankara. C’è poco da argomentare, sostengono moltissimi analisti, in quanto al di là delle alleanze e delle nuove partnership sorte attorno ai nuovi giacimenti, leggi e trattati condannano le richieste turche.
Palmer ha anche specificato un passaggio molto rilevante: ovvero che i proventi di tali risorse “dovrebbero essere condivisi equamente tra tutti i popoli dell’isola, nel quadro di un accordo negoziato”, mostrando disponibilità verso una soluzione diplomatica e inclusiva che metta al centro l’atavica questione della convivenza di due popoli, dopo l’invasione turca che dal 1974 ha ancora 50mila militari nella parte nord dell’isola. Ma Erdogan non fa marcia indietro e osserva: “I nostri consanguinei di Cipro del Nord sono titolari degli stessi diritti della popolazione della parte meridionale di Cipro, specialmente su questioni quali il petrolio nel Mediterraneo orientale. Noi siamo impegnati a proteggerli. Le nostre nuove navi per la perforazione e l’esplorazione si trovano nella regione per questo e sono protette da fregate delle forze armate turche”.
IPSE DIXIT
“Abbiamo ribadito alla Turchia – ha aggiunto Palmer – che consideriamo provocatoria l’intenzione annunciata di perforare e abbiamo incoraggiato la Turchia a fermare tali azioni. Lo abbiamo fatto privatamente, lo abbiamo fatto pubblicamente. Restiamo fortemente favorevoli al processo negoziale delle Nazioni Unite. Vorremmo vedere l’isola riunificata il più rapidamente possibile”.
La replica di Ankara non si discosta dalla posizione degli ultimi quattro anni, in cui lo scontro si è esteso ad Atene. Secondo lo speaker del ministero degli Esteri, Hami Aksoy “i greco-ciprioti violano i diritti dei turco-ciprioti, che hanno voce in capitolo sulle risorse naturali dell’isola”, inoltre gli accordi firmati sono “inaccettabili poiché hanno ignorato la giusta quota di risorse offshore della Repubblica turca di Cipro del Nord“.
Ma ad Aksoy rispondono le inchieste che sui diritti si stanno sviluppando anche in sedi internazionali, come quella che ha messo al centro la distruzione colposa di tutti i simboli religiosi non musulmani nella zona occupata da parte dei turco-ciprioti, ovvero cimiteri maroniti, cappelle ortodosse, chiese cattoliche al posto delle quali sono stati edificati resort, stalle, bordelli come osservato dal prof. Charalampos Chotzakoglu docente di Arte Bizantina all’Open University di Atene, nel volume “Monumenti religiosi nella parte di Cipro occupata-fatti e testimonianze di una continua distruzione”. O come quella che ha certificato la vendita di pezzi interi della Cipro occupata a soggetti stranieri per interessi cementifici, ma con il dettaglio, precisa Nicosia, che i turco-ciprioti vendono un bene che hanno occupato.
IL GAS
Il vero convitato di pietra e nodo del contendere. È evidente che Ankara non digerisce gli accordi siglati dal governo di Nicosia con quelle compagnie energetiche che si sono aggiudicate legittimamente i diritti di esplorazione, tra cui Exxon, Eni, Total.
È quello il versante di scontro che fa dire alla Turchia di voler continuare proteggere i suoi diritti che però nessun trattato internazionale le attribuisce (mentre al contempo il rapporto Usa-Turchia è di fatto mutato a 360 gradi). Ma nonostante ciò le navi perforatrici turche Yavuz e Fatih sono prossime alle indagini nel Mediterraneo orientale. Della questione si occuperà anche il cosiddetto gruppo Med-7 (Francia, Italia, Spagna, Portogallo, Grecia e Malta) che si riunirà in occasione del vertice di Malta del prossimo 14 giugno, propedeutico al Consiglio europeo di Bruxelles del 20.
Non solo gas, però. Ankara teme di perdere influenza sull’intero dossier energetico che vede Cipro protagonista del nuovo triumvirato strategico assieme a Israele e Grecia. Ieri infatti è stato firmato al ministero dell’Energia di Nicosia il contratto che apre la strada ai lavori di costruzione dell’Euro Interconnector, vettore che collegherà le reti elettriche di Cipro, Israele, Creta e Attica in Grecia. Del costo di circa 3,5 miliardi di euro prevede la costruzione della stazione di conversione ad alta tensione a corrente continua a Kofinou, con una capacità di trasferimento di 2000 MW. L’interconnessione sarà operativa nel giugno 2022 e entro il dicembre 2023 collegherà Cipro al sistema completando l’interconnessione Cipro-Creta-Attica. Di fatto si aggiunge un altro tassello alla nuova geografica energetica del Mediterraneo, orientale dopo il gasdotto Tap e l’Eastmed.
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