Ci sono molte sfide che il Copasir guidato dal leghista Raffaele Volpi ha davanti a sé, la più importante della quale sarà ritrovare l’unità perduta. A crederlo è Giuseppe Esposito, già vice presidente del comitato parlamentare di vigilanza sui servizi segreti, che in una intervista con Formiche.net commenta il Russiagate italiano, i rapporti con gli Usa, il dibattito sulla nomina di una Autorità delegata e gli ultimi sviluppi legislativi giunti con il decreto cyber che rafforza i controlli anche del 5G.
Senatore Esposito, oggi il Copasir ha eletto presidente il leghista Raffaele Volpi. Che cosa cambia nell’assetto del Comitato?
Dal punto di vista pratico poco o niente. Dopo la breve parentesi di Lorenzo Guerini, poi diventato ministro della Difesa, l’ex presidente era sempre un leghista, Giacomo Stucchi. C’è però anche un segnale politico.
Quale?
Volpi è stato eletto con 6 voti. Questo segnala delle divisioni che andrebbero superate, perché il lavoro che si compie nel Comitato non ha colore politico, ma è mosso da un’unica logica: assicurare che il nostro interesse nazionale sia difeso. Per questo ritengo che uno degli obiettivi più importanti sia quello di portare all’interno della commissione una situazione di unanimità, o quasi.
A proposito di divergenze, in un’intervista con Formiche.net pochi giorni prima dell’elezione, il segretario del Copasir, la pentastellata Federica Dieni, aveva detto che non sarebbe opportuno che la presidenza del comitato andasse alla Lega perché il caso Savoini è ancora aperto. Che cosa ne pensa?
La trovo una preoccupazione infondata. Questo perché il Comitato è un organo collegiale, che ha sì un presidente ma nel quale tutti i componenti sono al corrente di ciò che accade. Inoltre, il Copasir è il luogo dove si approfondiscono decisioni già prese dal Comitato Interministeriale per la Sicurezza della Repubblica (Cisr) se parliamo di linee guida impartite all’intelligence; dall’altro, guardando al caso specifico, è la magistratura che si occupa di compiere indagini, non certo il Comitato.
Una delle prime iniziative del nuovo Copasir sarà la convocazione del presidente del Consiglio Giuseppe Conte, per chiedergli chiarimenti circa gli incontri che i vertici dei servizi segreti italiani, dopo il via libera di Palazzo Chigi, hanno tenuto con il ministro della Giustizia Usa William Barr per parlare del Russiagate.
Penso che una nazione come l’Italia debba interloquire con tutti i Paesi loro alleati. Gli Stati Uniti sono uno di questi, uno dei più importanti. Non ci vedo nulla di scandaloso a lavorare con loro e, in tutta franchezza, nemmeno nelle modalità con le quali questo è avvenuto. Sono molto più preoccupato delle frizioni politiche in corso, che non danno la giusta tranquillità agli uomini del Comparto, che svolgono una funzione essenziale per la sicurezza nazionale del Paese.
Correlata a questa vicenda è il ‘suggerimento’ dato da Matteo Renzi a Conte, ovvero quello di lasciare la delega all’intelligence e nominare un’Autorità delegata per la Sicurezza della Repubblica, che manca da tempo. La ritiene una richiesta giusta?
Credo che non cambierebbe granché. L’Autorità delegata serve solo ad alleggerire il lavoro del presidente del Consiglio, che la sceglie in completa autonomia. Ma nel nostro ordinamento il responsabile ultimo delle politiche di informazione per la sicurezza è sempre l’inquilino di Palazzo Chigi. Per questo dico: non ha senso tirar fuori ragioni di opportunità politica.
Tra le sfide più importanti di sicurezza che impegnano l’intelligence, il Copasir e il governo c’è la sicurezza informatica e delle reti. Da vicepresidente del Comitato ha seguito in prima persona i temi cyber. L’esecutivo ha varato da poco un decreto mirato a rafforzare i controlli su 5G e sistemi sensibili. Lo ritiene un passo in avanti?
Nel lavoro svolto durante la scorsa legislatura emerse in modo chiaro che le infrastrutture strategiche abbiano bisogno di essere attentamente controllate e monitorate. Quanto al decreto, sul piano legislativo sì, è una novità positiva nel complesso, ma nutro forti perplessità sulla sua attuazione pratica. Servirebbero enormi risorse, economiche e umane, per controllare in modo capillare e davvero approfondito le apparecchiature. Il Cvcn ne sarà in grado? Mi pongo questa domanda. Dal mio punto di vista sarebbe stato meglio affidare i gangli più delicati del Paese a imprese italiane, controllabili e dunque intrinsecamente più sicure.