Messa alle strette dalla campagna americana per sensibilizzare gli alleati sui pericoli che Washington ritiene connessi alla presenza di apparecchiature cinesi nel 5G occidentale, Huawei continua a premere in Italia e in Europa per non perdere terreno.
Domani, il colosso di Shenzhen inaugurerà a Roma un nuovo ufficio in zona Eur, ed al taglio del nastro sono attesi il Ceo della compagnia nella Penisola, Thomas Miao, l’ambasciatore di Pechino Li Junhua, e un rappresentante delle istituzioni nostrane, il sottosegretario al ministero degli Esteri, il pentastellato Manlio Di Stefano. Mentre il 4 e 5 novembre la telco terrà a Parigi due maxi-eventi europei su innovazione e tecnologia (proprio nelle passate settimane la Commissione Ue si è espressa in modo molto critico nei confronti del 5G di Paesi ‘non democratici’, ottenendo il plauso di Washington).
LE MOSSE DI HUAWEI
Ad ogni modo, l’iniziativa del gigante cinese nella Penisola si coniuga a una forte offensiva mediatico-lobbistica, all’interno di cui può essere inserita una recente audizione in Commissione Trasporti, durante la quale i vertici della società hanno sottolineato alcune loro perplessità sul Decreto cyber e sul rafforzamento del Golden Power.
Ma è soprattutto attraverso svariati annunci di investimenti che la tech fondata da Ren Zhengfei punta a guadagnarsi la fiducia della classe dirigente italiana, in una delle nazioni del Vecchio continente che – se si guarda all’adesione di Roma alla Via della Seta, unica capitale tra quelle dei G7 – più di altre sembra cedere alle ‘lusinghe’ del fu Celeste impero, che ambisce forse a ritornare tale.
GLI ANNUNCI…
Nei mesi scorsi, in occasione dei 15 anni di attività della telco cinese nel nostro Paese, l’amministratore delegato Miao disse a Milano che la compagnia investirà nella Penisola nei prossimi tre anni oltre 3,1 miliardi di dollari (all’incirca 2,75 miliardi di euro). Di questo denaro, 1,9 miliardi andranno in acquisto di forniture e 1,2 in marketing e operations, nonché oltre 50 milioni in ricerca e sviluppo. Il tutto coniugato a promesse occupazionali, con la previsione di creare tra il 2019 e il 2021 in Italia mille nuovi posti di lavoro (3mila con l’indotto). Senza contare le varie partnership con diversi atenei, ultimo quello di Pavia, con cui realizzerà il Microelectronics Innovation Lab, con un investimento di 1,7 milioni di dollari.
…E LE RISPOSTE
Ma quanti dei posti di lavoro creati si sono finora tradotti in impieghi stabili, quindi non legati alla contingenza e alle mire sulle nuove reti? Si tratta di una domanda che molti addetti ai lavori si pongono, dal momento che nella citata audizione sul Decreto cyber, il presidente di Huawei Italia Luigi De Vecchis disse (rettificando in seguito con una nota), che se la telco fosse discriminata sul 5G a seguito del confronto globale tra Washington e Pechino “lascerebbe l’Italia, quindi mille impiegati dovrebbero trovarsi un altro lavoro”.
Su precisa richiesta di Formiche.net su quanti siano, al momento, i dipendenti italiani della compagnia assunti a tempo indeterminato e quanti quelli con altri tipi di inquadramento, la risposta è stata vaga: “ad oggi Huawei Italia ha circa 800 dipendenti, di cui l’85% locali”. Il 15% dei dipendenti dell’azienda nella Penisola è dunque non italiana (presumibilmente cinese?). Un dettaglio non marginale, ha sottolineato a questa testata Federico Mollicone, deputato di Fratelli d’Italia e responsabile Innovazione del partito, soprattutto se si considera che l’accusa più importante che l’alleato statunitense rivolge alla telco è proprio quella di essere legata al governo cinese. Una tesi, aggiunge il parlamentare, negata più volte ma basata, secondo gli Usa, “sul contenuto dell’articolo 7 della legge cinese sull’intelligence emanata nel 2007 che impone a tutte le aziende l’obbligo di fornire ai servizi segreti di Pechino qualsiasi informazione ottenuta nell’esercizio del proprio lavoro all’estero”.
Nessun accenno da parte di Huawei, invece, alle forme contrattuali adottate, uno dei tanti punti che forse già da domani il sottosegretario Di Stefano, e in seguito altri dicasteri a cominciare dal Mise, vorranno approfondire con il colosso di Shenzhen.