Sia chiaro, Confindustria sta vivendo in prima linea il dramma dell’Ilva. Ci sono decine e decine di imprese dell’indotto che rischiano di chiudere bottega se la grande acciaieria di Taranto a sua volta collasserà su se stessa, dopo la decisione di Arcelor Mittal. Attenzione però a non vedere nel gruppo franco-indiano la fonte di tutti i mali. Oltre alla politica, le sue colpe le ha anche il mercato.
Ieri è andato in scena uno scontro a distanza tra sindacati e Viale dell’Astronomia, proprio sull’Ilva. Per Confindustria i 5 mila licenziamenti chiesti da Mittal sono un colpo all’industria del Paese, certo, ma attenzione a non confondere troppo la realtà con la finzione: quando un’azienda è in crisi è sbagliato pretendere di mantenere i livelli occupazionali, perché in questo modo cade il concetto stesso di impresa. E l’Ilva, in crisi, lo è per davvero tanto da perdere più o meno 2 milioni al giorno. Parole che, naturalmente, non sono piaciute ai sindacati, Cgil in primis. Formiche.net ha chiesto il parere di Andrea Bianchi, capo delle relazioni industriali di Confindustria.
“Il presidente Boccia ha detto una cosa logica. Le fasi di riduzioni dei cicli vanno gestite con strumenti ordinari, strumenti che sono nella disponibilità della trattativa degli stessi sindacati e delle stesse imprese, come la Cigs. Se c’è un rallentamento della produzione dell’acciaio, la questione va affrontata con altri strumenti che possano andare al di là dell’Ilva, perché il problema acciaio è anche un problema europeo”, spiega Bianchi. Che chiarisce ancora.
“L’acciaio vive problemi di dumping, di frontiere, di prezzi e questi problemi vanno affrontati in sede Ue. Non è che Mittal è impazzita, ci sono elementi oggettivi su cui ragionare. Naturalmente la stessa Mittal ha un contratto e quello è certamente un elemento della trattativa”. Bianchi si sofferma anche su una possibile nazionalizzazione dell’Ilva. “Io credo che la priorità sia trovare il modo affinché Mittal rimanga. Francamente credo che sia il caso di considerare altre opzioni che vadano oltre la nazionalizzazione”.
Nella sostanza, la questione Ilva per le imprese è assolutamente prioritaria. “Stiamo parlando della più grande acciaieria d’Europa, da cui dipender il Pil del Sud al 70% e del Nord al 30%. Ci sono di mezzo migliaia e migliaia di imprese. Non dimentichiamocelo”.