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Addio padre Sorge, protagonista fino all’ultima sfida: il sinodo italiano

Perdiamo oggi un uomo che ha segnato la nostra storia: la direzione de La Civiltà Cattolica e la fondazione a Palermo dell’Istituto di Formazione Politica Pedro Arrupe sono probabilmente i momenti più noti della sua vita. E un anno fa si espresse sull’importanza di un sinodo della Chiesa italiana. Il ricordo di Riccardo Cristiano di padre Bartolomeo Sorge

L’Italia perde un protagonista della sua vita culturale: noi italiani perdiamo molto con padre Bartolomeo Sorge, non solo la Chiesa italiana. Perdiamo un uomo che ha segnato la nostra storia con tante pagine che oggi è impossibile ricordare tutte adeguatamente: la direzione dal 1973 de La Civiltà Cattolica, con la quale accompagnò la ricezione delle novità conciliari nel nostro Paese, e la fondazione a Palermo nel 1986 dell’Istituto di Formazione Politica Pedro Arrupe sono probabilmente i momenti più importanti e noti della sua vita, durante la quale ha anche diretto altre prestigiose riviste della Compagnia di Gesù, come Aggiornamenti Sociali e Popoli e il centro San Fedele di Milano.

Ma anche le recenti battaglie ecclesiali e politiche, condotte anche sui social media, ne hanno fatto un protagonista della nostra vita, formatosi nel legame profondo con Paolo VI, quello che lui ha spiegato così: “Qual è il mio Paolo VI? La logica mi porterebbe a rispondere a questa domanda ricordando la sua fede straordinaria, la sua spiritualità profonda. Ma c’è un aspetto che sin dal primo incontro mi colpì in modo particolare e che, per tanti aspetti, è la precondizione di tutti gli altri: la sua umanità”. E in questa umanità del suo Paolo VI, testimoniata dalla grande enciclica Populorum Progressio, intrisa dell’enorme empatia umana di un uomo timido, si può scorgere anche qualcosa di attuale, con queste parole, una sofferenza particolare: “Basti ricordare, tra quelle che maggiormente lo afflissero, il dissenso ecclesiale, da lui definito la corona di spine del suo pontificato”.

La vicenda di padre Bartolomeo Sorge ha avuto nella stagione palermitana la traduzione più nota: “Per me è stata una consolazione immensa aver vissuto in prima persona la Primavera di Palermo. La mafia mi voleva uccidere ma non ci è riuscita. Ho avuto la scorta per 7 anni, il mio capo scorta Agostino Catalano è saltato in aria con Borsellino. Si era offerto perché mancava personale”. Tra i suoi racconti di quegli anni molti hanno giustamente e opportunamente riportato a galla in queste ore queste parole che segnano la nostra storia, e l’importanza di ricordare quegli anni: “L’esperienza più drammatica e bella della mia vita apostolica è stata quando ho visto una catena umana di 3 chilometri, uomini e donne, giovani e vecchi che si davano la mano attraversando la città e dicendo ‘basta con la mafia’ dopo le stragi del 1992. Prima di arrivare a Palermo la gente invece aveva paura di nominare la parola mafia. Si guardava intorno mentre parlava. Poi ho visto le lenzuola alle finestre dei quartieri popolari di Palermo. Quella fu veramente una vittoria”.

Per l’Italia è certamente questo il padre Bartolomeo Sorge che non si può dimenticare. Ma dovrebbe esserci anche quello che, la mattina di sabato 14 giugno 1975, portò per la prima volta il collegio degli scrittori di La Civiltà Cattolica in udienza dal papa, Paolo VI. Sin lì lo speciale rapporto tra il papa e i suoi scrittori era stato segnato da un “messaggio”, mai da un’udienza, poi divenuta abitudine. Usciva in quei giorni il numero 3000 della rivista, la più antica in italiano. In quella circostanza il papa formulò alcune raccomandazioni ai suoi “giornalisti”, i suoi scrittori sul mondo, tra le quali una mi ha sempre colpito in modo particolare: “Lo sguardo profetico e dinamico verso l’avvenire, interpretato nel quadro vivente così osservato e illuminato, per scoprire, indovinare se occorre, i segni dei tempi, cioè i doveri, i bisogni, le vie aperte all’avvenire della società e specialmente della Chiesa pellegrinante verso il domani, un domani che si prolunga in estensione escatologica”. Siccome non sono un teologo né un dotto tengo per me il fascino per questa “estensione escatologica”, ma non posso tacere il passaggio chiarissimo e importante per tutti noi, quelle “vie aperte all’avvenire della società e specialmente della Chiesa pellegrinante”, così problematiche adesso e quindi così importanti da cercare oggi.

Questa frase mi ha accompagnato nella piccola relazione con l’ultimo padre Bartolomeo Sorge, quello che sembra “cronaca”, ma non lo è. La sua fermezza sulla questione-migranti, la sua indignazione per alcune chiusure, guardava certamente “all’avvenire della società e specialmente della Chiesa pellegrinante”. Per questo ha saputo associare auspicate benedizioni politiche a benedizioni politiche del passato, dal cui senso ci ha messo in guardia.  Ma il punto vero, profondo, Bartolomeo Sorge lo ha colto, e così è tornato a scrivere per la rivista che diresse, La Civiltà Cattolica. Non sui profughi, non sui porti, ma sulla questione essenziale, il sinodo italiano che tanti, troppi, non vogliono.

Un articolo illuminante, come tanti altri che ha scritto e che oggi sa dire qualcosa proprio della nostra società e della Chiesa italiana, prendendo le mosse dal Convegno Nazionale della Chiesa Italiana nel 1976 sul tema “Evangelizzazione e promozione umana”. E cosa fu quel convegno?  Ha scritto padre Sorge circa un anno fa, sul quaderno 4062 de La Civiltà Cattolica: “Il Convegno ‘Evangelizzazione e promozione umana’ fu vissuto da tutti quelli che vi presero parte – vescovi e delegati diocesani – come una vera Pentecoste, come una chiamata dello Spirito Santo alla Chiesa italiana affinché affrontasse con maggior coraggio il rinnovamento suo e della sua pastorale. Per tutti i partecipanti quel Convegno fu un momento di grazia, e tale è rimasto nel loro ricordo. La svolta iniziata dal Convegno del 1976 fu presto interrotta, in seguito alla morte di Paolo VI (6 agosto 1978)”.

Bartolomeo Sorge aveva capito l’importanza di un sinodo della Chiesa italiana in questo frangente così importante per la società italiana e ha espresso così questa sua convinzione: “Un’altra difficile sfida meritevole di essere affrontata in un autorevole dibattito sinodale riguarda le implicazioni etiche e comportamentali dei fedeli, all’interno della crisi spirituale e culturale senza precedenti in cui si dibatte l’Italia. ‘La Chiesa – ha detto papa Francesco – sappia anche dare una risposta chiara davanti alle minacce che emergono all’interno del dibattito pubblico: è questa una delle forme del contributo specifico dei credenti alla costruzione della società comune. I credenti sono cittadini’. Ci chiediamo: quale intervento autorevole la Chiesa italiana potrà pronunciare, alla luce del Vangelo e del magistero, sul fatto che milioni di fedeli – non esclusi sacerdoti e consacrati – condividano, o quanto meno appoggino, concezioni antropologiche e politiche inconciliabili con la visione evangelica dell’uomo e della società?”.

L’emergenza Covid ancora non era alle viste, ma rimasi così colpito da questo filo che univa il discorso di Paolo VI del 1975 e la visione di Sorge nel 2019 che lo cercai, lo intervistai. Occasionalmente rimanemmo in contatto. Le sue prese di posizione hanno avuto diffusi consensi e molte critiche. Non voglio scegliere in questi fatti che so lo hanno riguardato per quel che dicevano sui problemi antropologici che testimoniavano. C’era l’ulteriore conferma, quando l’emergenza Covid ancora non si intravedeva, che la sua convinzione sull’importanza del sinodo della Chiesa italiana era giustissima, e importante, per tutti.



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