Dopo l’attacco frontale ad Alibaba&Co, Pechino punta un’altra big del fintech fresca di quotazione alla Borsa americana, quella Uber cinese rea di mettere in pericolo la sicurezza del Dragone. Ma la lista dei bersagli è lunga…
Come un rullo compressore, la Cina continua a spianare il fintech, attuando un riassetto come se ne sono visti pochi nella storia recente. Tutto, o quasi, è cominciato con l’attacco frontale ad Alibaba e alle sue controllate, demolite un pezzo alla volta a colpi di Ipo fatte saltare (Ant, 37 miliardi), multe Antitrust astronomiche, tentate nazionalizzazioni. Un cappio intorno al collo del fintech la cui morsa non accenna ad allentarsi.
E così, ecco la nuova mazzata cinese sul fintech, con la Cyberspace Administration of China ha ordinato la rimozione dell’applicazione di Didi Chuxing, la Uber cinese, dagli store online per presunta violazione delle leggi sulla raccolta dei dati personali dei clienti. L’annuncio, pubblicato domenica sulla pagina WeChat del regolatore, afferma che l’app avrebbe utilizzato illegalmente le informazioni personali dei suoi 377 milioni di utenti attivi. Didi ha affermato che, mentre apporterà le modifiche richieste, i clienti e gli autisti che hanno già scaricato l’app potranno continuare a utilizzarla.
Una mazzata tra capo e collo, indubbiamente. Visto che il blocco arriva in un momento cruciale per l’azienda, che ha visto le sue azioni crollare a solamente una settimana dalla sua quotazione alla Borsa di New York. E non una quotazione come tante altre: quella di Didi è stata la più grande Ipo di una società cinese sulla borsa americana sin dal 2014, anno in cui Alibaba è sbarcata a Wall Street.
Ma c’è di più. Nelle stesse ore in cui la mannaia di Pechino si abbatteva su Didi, la medesima Cyberspace Administration estendeva le indagini ad altri due alfieri del fintech cinese e sempre per prevenire i rischi per la sicurezza dei dati nazionali. Nel mirino sono finiti Yunmanman e Huochebang, app attive nella logistica di Full Truck Alliance quotata a Wall Street, e Boss Zhipin, piattaforma di reclutamento online sostenuta dal colosso tecnologico Tencent e quotata al Nasdaq.
D’altronde, e non è certo un mistero, i dati sono un grande obiettivo per il governo cinese, parte del tentativo più ampio per regolamentare il settore tecnologico cresciuto in gran parte senza controlli nel corso degli anni. A giugno, Pechino ha approvato una nuova legge sulla sicurezza dei dati che stabilisce come le aziende debbano raccogliere, archiviare e utilizzare i dati. E il fatto che non poche aziende cinesi considerate sensibili in quanto detentrici di enormi quantità di dati si siano quotate alla Borsa americana, non piace a Pechino.
Pensare che in terra americana il Dragone, come raccontato da Formiche.net, può contare su uno sponsor d’eccezione per quanto riguarda la gestione del fintech. Charlie Munger, vicepresidente della Berkshire Hathaway, la holding del settimo uomo più ricco del mondo e tra i più famosi finanzieri della storia: Warren Buffett. Il cui braccio destro ha elogiato il governo cinese per aver messo a tacere Jack Ma e la sua Alibaba, ree di aver sfidato il regime dall’alto del loro monopolio su prestiti e pagamenti, che ha potuto proliferare fino all’entrata a gamba tesa del Dragone.