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Biden pronto a incontrare Putin “se” non attacca. Ma da Mosca…

Incontro Biden-Putin in vista? Possibile dialogo tra leader per distendere una situazione delicatissima e salvare un’Europa dalla guerra. Se Mosca non attacca prima

Il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, accetta “in linea di principio” un incontro con Vladimir Putin a patto che chiaramente la Russia non proceda con un attacco contro l’Ucraina. Lo ha fatto sapere nella nottata italiana la Casa Bianca, accettando di fatto il lavoro di mediazione di Emmanuel Macron. Il capo di stato francese ha passato la giornata di domenica nel tentativo di ricostruire un percorso diplomatico mentre la situazione sembra degenerare. Il Cremlino ha detto che per ora è “prematuro” un incontro, ma sono anche posizioni necessarie per non sembrare deboli.

I separatisti russi di Donetsk e Lugansk martellano il fronte orientale ucraino (mai così tanti colpi di mortaio e missili anticarro sparati negli ultimi anni). Il rischio di un casus belli (reale o costruito) che poi possa portare i russi all’attacco è altissimo, nonostante gli ucraini stiano mettendo alla prova la loro calma e resilienza. D’altronde di militari russi in movimento ce ne sono tanti — gli ultimi dati americani dicono che potrebbero essere addirittura 200mila — e molto ben attrezzati. Nel Mar d’Azov, l’ascella nord-orientale del Mar Nero chiusa dallo stretto di Kerč, il Cremlino ha diffuso una comunicazione Notam per avvisare che praticamente l’80 per cento dell’area navigabile sarà occupata dalle esercitazioni navali russe — un’attività che limita il grande porto di Mariupol.

Secondo le ultime informazioni che le intelligence americane hanno passato ai media, il Cremlino avrebbe già diffuso un ordine di attacco inviato ai comandanti sul campo delle varie unità assembrate ai confini ucraini. I mezzi russi con disegnata la lettera “Z” (scritta in alfabeto latino e non in cirillico) circolano ormai a soli venti chilometri dal confine, portandosi dietro quel simbolo dello Zeitigeist ben riconoscibile. Nessuno ne sa apertamente le ragioni e forse serve anche questo solo a spingere la guerra informativa attorno alla crisi.

Domenica 20 febbraio il ministero della Difesa di Mosca ha cominciato di aver deciso di bloccare in Bielorussia oltre trentamila uomini (numero non verificabile), parte dell’esercitazione congiunta con Minsk “Grom”, per ragioni di sicurezza connesse alle tensioni nel Donbas. Dove la narrazione putiniana costruisce una preoccupata terzietà fingendo che chi combatte contro l’esercito di Kiev non sia connesso con il Cremlino. È un modo che serve anche a lasciare spazi narrativi al racconto propagandistico di una Russia pronta a difendere persone di cui condivide l’etnia — dimensione utile, se servirà, a giustificare un’eventuale mossa militare come fu con la Crimea.

La Lituania ha definito il posizionamento a tempo indeterminato russo in Bielorussia come “invasione strisciante”, e il batka Alexander Lukashenko sembra in effetti l’unico reale sconfitto di tutta questa parte di vicenda. Il presidente/padrone di Minsk ha per anni cercato di muoversi su un complicato filo appeso tra la volontà di costruirsi un qualche perimetro di autonomia e il peso che la Russia Bianca, l’altra Russia, ha nella narrativa etnonazionalista di Putin (che aspira apertamente a un’unificazione).

Risultato, le proteste dopo le ultime elezioni e l’intervento misericordioso russo per far sopravvivere non tanto Lukashenko ma un regime controllabile (mentre l’alternativa rischiava di essere un gruppo politico troppo interessato all’Occidente e alla democrazia). L’intervento russo ha un costo geostrategico per Minsk, ossia la trasformazione della Bielorussia in una filiale di Mosca, in una piattaforma geopolitica utile agli interessi del Cremlino.

Se Lukashenko perde, gli altri vincono: o almeno esiste per tutti una dimensione per raccontare una vittoria. Cominciando da Macron, che — se le cose scorreranno lisce — in clima elettorale potrà rivendere ai francesi (e agli europei) l’aver ottenuto l’impegno della Russia a pressare per una de-escalation nel Donbas. Punto di partenza per poter convocare una riunione del formato di dialogo diplomatico tra separatisti e Kiev, dove la mediazione è condotta da Mosca, Parigi e Berlino. Lì, dovessero decidere di alzare l’incontro ai massimi livelli, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, potrebbe trovare soddisfatto il suo più grande desiderio: parlare con Putin e sentirsi dire de visu et de auditu che la Russia vuole l’accettazione incondizionata degli Accordi di Minsk da prete di Kiev, ossia il riconoscimento dell’autonomia nelle autoproclamate re pubbliche separatiste di Donetsk e Luhansk.

Putin finora ha rifiutato il faccia a faccia per lasciare separazione tra i dialoghi diplomatici con il mondo che conta e l’Ucraina, il cui destino è ancora appeso alle ragioni di calcolo del presidente russo (il ragionamento analitico occidentale del “non conviene invadere” deve incastonarsi con le necessità di tenuta del regime russo, e non è detto che ciò accada).

Putin tuttavia ottiene un buon risultato, perché riesce nuovamente a portare Biden a sedersi in un meeting. Non è chiaro se sarà una “Helsinki 2” — scenario previsto da analisti di pregio come Michael McFaul e Dmitri Trenin — ma di sicuro non si parlerà (solo) di Ucraina. Nell’incontro Putin metterà sul tavolo le ragioni che lo hanno portato fin qui, ossia la coabitazione in Europa e la cogestione della aree di influenza attorno alla Russia. Dove quel “attorno” può passare dall’Asia Centrale (a Mosca preoccupa più la deflagrazione del Kazakistan che una poco-plausibile-adesso Ucraina nella Nato) fino al Medio Oriente e Nord Africa, o alle Isole Curili.

Biden allo stesso tempo ottiene un risultato: se le cose procederanno lisce, non scoppierà una guerra in Europa sotto il suo primo mandato, e dunque potrà tornare a concentrarsi sulle questioni interne — sostanzialmente di carattere economico — che sono quelle che gli stanno facendo perdere punti di approval. “Siamo sempre pronti per la diplomazia”, dice la Casa Bianca, e questo è un terreno in cui il presidente Dem trova spazio per lo storytelling dell’alleanza tra Democrazie contro gli autorismi. Il presidente americano martedì 22 guiderà un incontro speciale del G7 che avrà come tema la crisi innescata dalla Russia.

C’è un grosso “se” però, perché ancora tutto può accadere: per esempio, il Washington Post ha ottenuto una copia di un documento inquietante, raccolto dalle intelligence americane e inviato al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. La Russia avrebbe preparato una lista di figure ucraine da uccidere o arrestare nei giorni appena seguenti a un primo attacco. Si tratta di politici e altri personaggi di rilievo che andrebbero eliminati per trasformare l’Ucraina in un’altra Bielorussia.

Questa lista esiste, questo piano c’è, e Mosca andrà avanti invasione o meno, magari attraverso attività ibride per destabilizzare Kiev che vedremo nei prossimi anni.



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