Skip to main content

Libia, il ruolo di Irini nello stallo istituzionale

In Libia c’è uno stallo politico molto pericoloso, due presunti governi che potrebbero destabilizzare il Paese e portarlo alla deriva degli scontri armati, di nuovo. Sul Situational Awarness dell’Ue, un ruolo centrale è svolto da Irini, la missione militare navale europea nel Mediterraneo centrale

L’inizio violento e sconvolgente della guerra russa in Ucraina ha tolto attenzione da determinati dossier che restano comunque in condizione di (dis)equilirio instabile all’interno dell’area di proiezione geoplitica dell’Italia, il Mediteraneo allargato. Un esempio, la Libia, che tra questi potrebbe essere quello che più di tutti risentirà degli effetti del conflitto avviato da Vladimir Putin.

A Tripoli la situazione è di stallo istituzionale. C’è un premier, Abdelhamid Dabaiba, che continua a occupare gli uffici di governo nonostante il suo governo non abbia più la fiducia parlamentare; c’è un altro premier, Fathi Bashaga, che ha ricevuto l’incarico dalla Camera dei Rappresentanti di Tobruk (il parlamento noto con l’acronimo inglese HoR autoesiliatosi in Cirenainca dal 2014) che non riesce a entrare in ufficio.

Dabaiba sostiene che il suo mandato non è terminato, e il voto a Bashaga è stato falsato e illegittimo. Incaricato dal processo politico-diplomatico delle Nazioni Unite, il Foro di dialogo libico, Dabaiba aveva il compito di portare il Paese al voto parlamentare e presidenziale il 24 dicembre 2021, ma le elezioni sono saltate di un mese e poi rinviate a data da destinarsi. Le ragioni sono molteplici, tra cui anche la sua candidatura stessa, e quella di figure divisive come Saif al Islam Gheddafi.

“Non è riuscito nel suo obiettivo, il mandato si è concluso, lasci l’incarico”, spiega una fonte parlamentare libica: “Il processo è normale, gli abbiamo accordato la fiducia un tempo e con lo stesso voto ora gliela togliamo per incaricare un altro premier”.

Bashaga guida una coalizione politica transizionale che intende portare la Libia al voto “nel giro di 14 mesi”, come ha dichiarato. Del gruppo fanno parte personalità che hanno occupato ruoli chiave nel precedente esecutivo onusiano, il Governo di accordo nazionale, come l’ex vicepresidente e vicepremier Ahmed Maiteeg, e come lo stesso Bashaga (ai tempi ministro dell’Interno). Figure della Tripolitania, entrambi misuratini, che hanno trovato una quadra di dialogo con Khalifa Haftar.

Il capo della milizia di Bengasi Lna, un tempo nemico di Tripoli, quando voleva intestarsi il ruolo di nuovo rais prendendosi il Paese con la forza, è l’elemento di particolarità di questa fase. Detestato dalle milizie tripoline, Haftar si è militarmente arreso nell’autunno 2020 e ha partecipato a vari passaggi istituzionali anche al tempo di Dabaiba, pur restando un elemento di sensibilità, come spiegava su queste colonne Karim Mezran (Atlantic Council).

Al di là degli equilibri interni, sulla Libia c’è una fase di distensione (quanto meno apparente) anche rispetto al ruolo giocato dagli attori esterni. A cominciare appunto dalla Russia, che ha sostenuto le ambizioni militari di Haftar anche attraverso l’uso a plausible deniability dei contractor del Wanger Group (ora in parte ridispiegati in Ucraina).

E poi c’è la Turchia: il recente viaggio di alcuni consiglieri di Bashaga ad Ankara, descritto su Formiche.net da Daniele Ruvinetti (Fondazione Med-Or), significa che l’amministrazione Erdogan percepisce la possibilità di allargare il proprio spettro di azione in Libia, dove è saldamente piazzata a ovest, dopo aver aiutato Tripoli a respingere Haftar. Tutto sfruttando per altro una fase di non-scontro con Egitto ed Emirati Arabi Uniti, gli altri importanti attori che si muovono sul lato orientale del Paese, così come quella con la Francia (che ha sempre parlato con Bashaga).

Il rischio è che le tensioni interne possano portare al ritorno delle armi, una deriva che nelle dinamiche libiche non è mai da escludere, anche se finora evitata – in queste settimane Bashaga per due volte ha rinunciato all’ingresso a Tripoli proprio perché sconsigliato davanti al rischio di scontri con le milizie che, anche per opportunismo, si sono messe a difesa di Dabaiba. Una nuova destabilizzazione di questo genere, con la Tunisia in profonda crisi istituzionale e con Algeria e Marocco in fase di tensione per il Sahara occidentale, rischia di aggravare clamorosamente il delicatissimo quadro regionale.

In questo, oltre all’impegno diplomatico, un elemento di controllo sul campo resta il ruolo svolto dall’Operazione Irini, che consente all’Ue di avere la consapevolezza (Situational Awareness) di quanto avviene nel Mediterraneo centrale, un’area strategica per la sicurezza marittima europea, la stabilità del Nord Africa e per il Sahel. Le due regioni geopolitiche sono collegate, così come sono collegati gli sviluppi per l’Europa – rappresentandone di fatto il confine meridionale – e collegati sono anche gli effetti che subiscono da dinamiche internazionali (o meglio dire globali) come la crisi militare in Ucraina.

“Questa operazione che ho il privilegio di comandare ha appena compiuto due anni. Un’operazione dove donne e uomini di 24 Nazioni Europee, che oggi colgo l’occasione di ringraziare pubblicamente, contribuiscono ogni giorno alla Politica di Sicurezza e Difesa Comune Europea lavorando affinché si realizzi una pace duratura in Libia”, ha detto l’ammiraglio di divisione Stefano Turchetto, comandante dell’operazione Eunavfor Med Irini, che in questi giorni ha visto il contrammiraglio italiano Fabrizio Rutteri subentrare al comando tattico.

“Questi due anni di intensa attività – ha aggiunto Turchetto durante la cerimonia a bordo della fregata greca “HS Elli” – si vanno a sommare a quanto fatto in precedenza dall’Operazione Sophia dal 2015 al 2020. Sette anni di impegno continuativo dell’UE nelle acque prospicienti la Libia. Sullo sfondo della perdurante instabilità politica del Paese Nord-Africano, la missione di Irini rappresenta uno strumento prezioso per l’Europa per monitorare e supportare il contrasto delle attività illecite condotte nella regione”.

Tra queste l’invio di armi, in violazione delle risoluzioni Onu, e le esportazioni illecite di petrolio: fattori di primario interesse in questo delicato momento. Nei due anni di attivazione, l’operazione Irini ha condotto più di 6.300 hailings, cioè interrogazioni di controllo via radio, e oltre 250 visite a bordo di navi mercantili in transito nell’area, 22 ispezioni a unità mercantili sospette di violare l’embargo, effettuando in un caso un sequestro di materiale ad uso militare. L’Operazione tiene anche sotto osservazione 16 porti e terminal petroliferi e 25 tra aeroporti e piste di atterraggio della Libia. Infine, sono stati inviati 35 rapporti speciali al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite relativi agli eventi di maggiore interesse.

×

Iscriviti alla newsletter