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Le crisi del Mediterraneo fotografano il Fronte Sud Nato

Nel Mediterraneo, il Fianco Sud Nato, si muovono varie forme di crisi in sovrapposizione. La regione soffre dinamiche di instabilità che interessano vari Paesi, oltre che gli effetti della difficile ripresa dalla pandemia e della guerra russa in Ucraina. L’importanza dell’area è cruciale, anche per l’Italia

“Oggi nel Mediterraneo si riverberano gli echi dell’aggressione russa all’Ucraina, ma anche la fragilità dell’area medio-orientale, le difficoltà di alcune regioni del Nord Africa e, soprattutto, del Sahel. Da tutte queste situazioni si possono originare minacce dirette alla nostra sicurezza. Lo vediamo con quello che sta accadendo in queste ore in Libia”. L’intervista del ministro della Difesa Lorenzo Guerini su Repubblica fotografa la situazione di quello che la Nato identifica come il “Fianco Sud”, a cui il summit alleato di Madrid ha riservato attenzione, chiamando Paesi come l’Italia a giocare un ruolo rinnovato e di primo piano.

Il Mediterraneo è un fulcro di flussi economici, commerciali e socio-culturali. Questo conferisce complessità all’area, rendendola contemporaneamente “meta di pulsioni geopolitiche e di mire egemoniche di alcuni attori internazionali e, nello stesso tempo, crocevia di instabilità”, per dirla con Guerini. Basta una carrellata della situazione in corso in questi giorni a rendere queste definizioni rappresentative. Contesti che a loro volta rischiano di complicare un difficile moto di allineamento che coinvolge molti attori del Mediterraneo allargato, e che rappresenta una risposta alle crisi globali — pandemia e guerra russa — che stanno tagliando la regione e che hanno portato alla necessità pragmatica di distendere alcune crepe interne.

A cominciare dalla Libia. Le recenti proteste sono solo l’ultimo in ordine temporale dei problemi presenti. La popolazione è stremata dallo stallo politico e istituzionale, soffre un depauperamento delle condizioni di vita e vede i politici libici lottare solo per una ridistribuzione del potere. Il rischio di derive violente è reale, anche perché il Paese non è stabilizzato, soffre la presenza di gruppi armati (e attori esterni ibridi) e già in passato è stato teatro di guerre civili che hanno alterato gli equilibri regionali – facendone poi da sfogo.

Contemporaneamente in Tunisia la stretta sul potere da parte del presidente Kais Saied ha messo in pausa il percorso di consolidamento democratico iniziato (unico di successo, come è stato descritto per anni) dopo le Primavere arabe. Il processo costituzionale lanciato dal presidente evidenzia che, anche se passa il referendum proposto, può mancare di legittimità: Saied sta creando precedenti pericolosi, che minacciano le prospettive di stabilità a lungo termine. Il rischio di destabilizzazione non può essere ignorato, anche perché anche a Tunisi le condizioni di vita non brillano.

Stesso dicasi per l’Egitto: la situazione economica fragile è aggredita dall’inflazione alimentare, e non è casuale se il più grande paese del mondo arabo riceva un piano di assistenza ordito dai più ricchi cugini del Golfo. Sotto la superficie del potere di Abdel Fatah al Sisi ribolle un’insoddisfazione che è già esplosa — in circostanze non troppo diverse — tramite la miccia dell’aumento del costo del cibo.

Restando sempre in Nord Africa, Marocco e Algeria sono ai ferri corti. La rottura delle relazioni diplomatiche tra i due Paesi, a causa della contesa annosa sul territorio Saharawi, suscita preoccupazioni – il rischio conflitto tra due dei Paesi meglio armati dell’Africa – e fa sentire i suoi riflessi su dossier come quello energetico (chiedere a Madrid).

Girandosi a Est, il fronte del Levante è caldo anch’esso. Mentre sul Libano è in corso un movimento di assistenza internazionale, il gruppo locale Hezbollah – che ha seguito e rappresentanza all’interno del sistema Paese libanese – minaccia attacchi contro Israele (in questi giorni tre droni della milizia sciita sono stati abbattuti da un F-16 israeliano mentre erano diretti contro l’impianto gasifero offshore Karish, di cui il Libano reclama la presenza di una porzione all’interno della propria zona economica esclusiva).

Poco a sud, in Siria (dove peraltro la guerra civile non è ancora del tutto risolta), si continua a consumare la pericolosa schermaglia tra lo Stato ebraico e l’Iran. Un bombardamento israeliano ad al-Hamidiyah, città non distante dal porto militare russo di Tartus, ha centrato quello che potrebbe essere stato un tentativo di rafforzamento da parte di Teheran: l’arrivo sul suolo siriano di sistemi di difesa aerea. Sempre in Siria, il comandante del CentCom statunitense ha denunciato pubblicamente come le attività ostili russe e iraniane contro una guarnigione statunitense di al Tanf, nel sud del Paese, stiano aumentando.

A proposito di comandanti americani: nei giorni scorsi il capo uscente del Comando Africa ha sottolineato con AFP come nel Sahel — frontiera meridionale dell’Europa e dunque della Nato — sia in corso un crescendo di “estremismo violento”, legato a gruppi jihadisti affiliati ad al Qaeda e Stato islamico, e attività di “attori maligni”, riferendosi ai contractor russi del Wagner Group (forze che il Cremlino userebbe per costruire influenza tramite lavoro sporco paramilitare).

Sempre ad Est, mentre le potenze regionali del Golfo cercano forme di allineamento – coinvolgendo anche la Turchia – rimangono importanti le divisioni tra Ankara e Atene, che coinvolgono anche Cipro e le acque (energetiche) dell’Egeo e dell’EastMed. Più a nord, nei Balcani, dinamiche di interferenza e frizione – anche per azione diretta di attori esterni – minacciano un complicato e delicato equilibrio creatosi nell’area negli ultimi tre decenni.

Non bastasse questo quadro di complessa instabilità, la regione è in questi giorni spazzata da condizioni ambientali molto complicate. La siccità sta assetando il Mediterraneo. Sta dimostrando come il cambiamento climatico — che la Nato nel nuovo Strategic Concept definisce come “un moltiplicatore di crisi e di minacce” — sia qualcosa che tocca già le quotidianità di milioni di individui e porti a influenzare dinamiche politiche. E inoltre, come accennato, i vari scombussolamenti del mercato energetico e quelli delle catene di approvvigionamento mondiali – soprattutto quelle alimentari – fanno e faranno sentire il loro peso su quei dossier instabili.

La sommatoria di queste condizioni avrà effetti peggiorativi su quei contesti più fragili, mentre nella regione ci saranno altri Paesi (e componenti sociali) che trarranno benefici dalla sovrapposizione di contesti di crisi. Queste disuguaglianze pregiudicano ad ampie fette delle collettività la possibilità di esprimere pienamente il proprio potenziale, frenando anche la performance economica aggregata e minando ulteriormente il tessuto sociale, la fiducia reciproca e quella nelle istituzioni.

“È in questo quadrante che l’azione dell’Italia dovrà perseguire la giusta attenzione alla luce del nuovo concetto strategico dell’Alleanza Atlantica e dello Strategic Compass dell’Unione Europea”, spiega Matteo Bressan, analista della Nato Defense College Foundation.

Bressan, docente per Sioi e Lumsa, ricorda a Formiche.net come sia stato il ministero della Difesa italiano ad aver già definito la sicurezza della regione “cruciale per l’Italia” e come nella recente direttiva sulla Strategia di Sicurezza e Difesa per il Mediterraneo si richieda che “il nostro Paese svolga un ruolo da protagonista, quale media potenza regionale a forte connotazione marittima, in grado di tutelare i propri interessi strategici, nonché svolgere un ruolo di riferimento per i principali Alleati in ambito Nato e Unione Europea”.


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