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Dopo Evergrande, Fosun. Altra patata bollente per Pechino

Il principale conglomerato industriale cinese, con ramificazioni in tutto il mondo e in molteplici settori, da inizio anno ha perso il 41% del valore in Borsa. E ora si teme un’altra ondata di insolvenze. Il Dragone non può permettersi una nuova crisi sistemica e per questo ordina alle banche di quantificare l’esposizione debitoria con il gruppo

Le avvisaglie, a dire il vero, c’erano già state. Su Fosun, principale conglomerato industriale cinese con ramificazioni che spaziano dal mattone, al turismo, al farmaceutico, al risparmio gestito, ai resort, passando per l’alta moda, le nubi avevano cominciato ad addensarsi settimane fa, un debito sempre più grande, pesante, insostenibile. Ora però l’asticella è salita e a Pechino è scattato l’allarme rosso, con i fantasmi di una nuova Evergrande che fanno già capolino. Fosun infatti, a differenza di Evergrande, è un gruppo molto più eterogeneo e presente in diversi Paesi con le sue partecipazioni.

Un suo default avrebbe effetti dirompenti non certo circoscritti all’economia del Dragone e questo a Pechino lo sanno. Anche perché la crisi di questi giganti è direttamente collegata al sistema bancario, visto che un fallimento comporterebbe automaticamente il mancato rimborso dei prestiti concessi dagli istituti ai colossi del mattone. E la Cina in piena stagnazione e con il Pil al rallentatore non può certo permettersi un’altra tempesta perfetta.

E così, le autorità cinesi hanno chiesto alle maggiori banche e società statali di avviare un giro di controlli sulla loro esposizione finanziaria nei confronti di Fosun. La spia si è accesa martedì 13 settembre, quando il titolo ha perso quasi il 7% a 4,78 dollari a Hong Kong (-41,3% da inizio anno), dove capitalizza quasi 40 miliardi di dollari locali. La controllata Fosun Pharmaceutical è invece scambiata sul listino di Shanghai.

Diverse autorità di regolamentazione, tra cui proprio la vigilanza bancaria cinese e la commissione locale che sovrintende agli investimenti statali a Pechino hanno dunque chiesto alle istituzioni sotto la loro supervisione di esaminare da vicino l’esposizione a Fosun, al fine di individuare segnali di contagio sistemico. Pare comunque, ha scritto Bloomberg, che il gruppo si stia preparando a cedere asset per ripagare i debiti avendo in cassa, in capo a Fosun International (la controllante) alla data dello scorso giugno, 117,7 miliardi di yuan a fronte di passività per 651 miliardi di yuan (92,5 miliardi di dollari), il 40% delle quali soggetto a pagamento di interessi.

Il gruppo, co-fondato dal magnate Guo Guangchang nel 1992, è stato di recente fra i maggiori investitori di asset all’estero, anche in Italia, ma ha visto il titolo e le obbligazioni in dollari soffrire in seguito ad un’ondata record di inadempienze da parte dei gruppi immobiliari cinesi. Il tutto mentre le stesse banche cinesi prendono il largo dai focolai di crisi. Come raccontato da Formiche.net, il mese scorso i nuovi prestiti delle banche cinesi non sono stati all’altezza delle previsioni: 1,25 trilioni di yuan (180,63 miliardi di dollari) in nuovi prestiti.

Uno stock in aumento rispetto a luglio ma ben al di sotto delle aspettative degli analisti, che si aspettavano un’impennata degli impieghi dopo i ripetuti appelli di Pechino. Gli esperti intervistati da Reuters avevano per esempio previsto che i nuovi prestiti  sarebbero saliti a 1,48 trilioni di yuan ad agosto, più del doppio dei 679 miliardi del mese precedente e superiori ai 1,22 trilioni dello stesso mese dell’anno scorso.


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