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Droni iraniani in Ucraina. La Russia attacca, Zelensky alza l’attenzione

I droni che la Russia ha ricevuto dall’Iran sono particolarmente efficaci se usati come stormi kamikaze contro obiettivi statici (anche civili). Il loro impatto sul conflitto è ancora relativo, ma all’Ucraina serve comunque migliorare la difesa aerea, come analizza Federico Borsari, esperto del Cepa di Washington

Nell’ultima settimana il governo ucraino ha alzato l’attenzione sull’uso da parte della Russia di droni di fabbricazione iraniana, che Mosca utilizza per sopperire un deficit tecnico (non ha mezzi del genere) e spingere la propria aggressione.

Questi velivoli senza pilota (Uav, sia i modelli kamikaze sia iquelli guidati per attacchi al suolo con armamenti) sono stati per esempio usati nel massiccio bombardamento di lunedì 10 ottobre, quello con cui Vladimir Putin ha ordinato di alzare il livello della violenza scagliandosi contro obiettivi civili nelle principali città ucraine (anche lontane dai fronti di combattimento).

Della fornitura se ne parla da questa estate grazie alle informazioni (anche in questo caso precise e affidabili) fornite dall’intelligence statunitense, che a fine agosto aveva già fatto sapere che i primi pezzi della commessa erano pronti all’uso in Ucraina. Finora le notizie su impieghi e abbattimenti (ci sono già stati anche quelli) sono state frammentarie e parte di un filone marginale, quasi di nicchia, sull’informazione che riguarda la guerra.

Adesso il governo di Volodymyr Zelensky ha alzato l’attenzione, sottolineando come quei droni abbiano in qualche modo cambiato alche delle attività nella guerra guerreggiata. Un filone comunicativo su cui l’ucraino è stato molto abile (come al solito) e che conseguentemente si è portato dietro delle reazioni immediate. Per esempio, il primo ministro israeliano, Yair Lapid, ha aumentato il proprio coinvolgimento pubblico sul lato ucraino con una condanna dell’attacco russo a Kiev di inizio settimana.

I civili della capitale sono stati un ottimo e funzionale elemento per sottolineare pubblicamente un cambio di postura israeliana che è anche collegato al coinvolgimento iraniano e a un flusso di ebrei in fuga dalla Russia. Da qualche settimana circolano informazioni sull’assistenza che reparti speciali di Israele stanno fornendo all’Ucraina con lo specifico incarico di annientare i droni dell’Iran.

Sarebbero stati forniti radar e jammer, strumenti in grado di abbatterli, ma è chiaro che queste apparecchiature abbiamo bisogno di essere utilizzate con efficacia, e gli ucraini potrebbero aver bisogno di un’assistenza sul posto. È molto difficile che Israele confermi l’eventuale presenza di truppe speciali in Ucraina, ma intanto Kiev ha fatto sapere che alcuni piloti e tecnici iraniani sono nelle aree occupate dai russi attorno alla città meridionale di Kherson — oggetto di una controffensiva ucraina — e stanno aiutando gli invasori a pilotare i loro droni.

Secondo un funzionario israeliano che ha parlato con il New York Times in forma anonima, il governo di Israele sta passando “basic intelligence” sui droni iraniani. Ma una società privata israeliana sta invece fornendo informazioni riguardo al posizionamento delle truppe russe, e in particolare delle piste di lancio di alcuni tipi di droni, come le munizioni circuitanti Shahed 136. Questa differenziazione pubblico/privato serve a tenere Gerusalemme su un livello di coinvolgimento più basso.

Le attività della società privata sono giustificabili con forme di plausible deniability simili a quelle che la Russia usa con i contractor del Wagner Group e sono utili per evitare sovrapposizione di scontri su altri dossier — ad esempio la Siria, dove Israele bombarda gli scambi di armi tra Iran e Hezbollah (che spesso coinvolgono anche componenti degli Shahed 136 o l’intero sistema) e la Russia evita di azionare le difese aeree con cui difende il regime.

Tuttavia l’impiego di droni iraniani in Ucraina può rappresentare un cambiamento anche in queste relazioni. Israele è stato chiamato in causa già questa estate da parti del governo ucraino che hanno richiesto l’invio del sistema di protezione aerea Iron Dome. Ma per ora Gerusalemme non intende fare questo passo e continuerà a fornire ufficialmente equipaggiamento non-combat (kit anti-mina, razioni di cibo, elmetti, maschere anti-gas e tute hazmat).

Il messaggio era stato recepito perfettamente dal ministro della Difesa ucraino, Oleksii Reznikov, che al rientro da un viaggio in Israele aveva detto in un panel organizzato da Forbes che produttori e funzionari locali avevano spiegato che “Iron Dome è stato costruito [per la protezione] contro missili lenti, a bassa quota e a basso impatto che sono stati fondamentalmente realizzati nei garage. Iron Dome non protegge dai missili da crociera e balistici”.

La spiegazione era stata fornita a luglio: chissà se nel frattempo, anche alla luce di forme di pressione esterna che potrebbero arrivare anche dagli alleati Nato dopo i fatti di lunedì, anche davanti dell’aumento dell’uso dei droni iraniani, qualcosa potrebbero cambiare?

“La componente politica è molto rilevante quando consideriamo le dichiarazioni di Zelensky, perché l’obiettivo è mettere pubblicamente pressione su Israele per convincerlo a fornire aiuto militare”, spiega Federico Borsari, esperto del Cepa di Washington.

“In termini di impatto sul conflitto — continua in una conversazione con Formiche.net — le prove ancora frammentarie che abbiamo suggeriscono che le munizioni circuitanti iraniane Shahed-136 (l’esperto sottolinea che tecnicamente non sono droni, ndr) stanno creando alcuni problemi alle difese antiaeree ucraine, riuscendo a colpire edifici e obiettivi statici, incluse alcune postazioni di artiglieria”.

“La loro pericolosità ed efficacia non risiede tanto nelle capacità tecnologiche, dato che sono sistemi che usano componenti relativamente sofisticati e spesso di origine civile (come il motore a 4 cilindri Mado M550 o sistemi di guida Gps commerciali), quanto nel numero e nella ridotta velocità”, aggiunge Borsari.

Se usati in grande quantità contemporaneamente, infatti, gli Shahed-136 possono saturare i radar delle difese antiaeree, mentre la bassa velocità (fino a 185 km/h) e la ridotta sezione radar equivalente (RCS) le rendono di difficile individuazione per alcuni radar di fabbricazione sovietica come quello del sistema S-300, di cui sono dotati gli ucraini. Tra l’altro, il cosiddetto “sciame di droni” è una delle preoccupazioni di Israele, che teme che forze come i gruppi combattenti palestinesi o più probabilmente Hezbollah possano attaccare lo stato ebraicousando questa tecnica — per questo i rifornimenti che i Pasdaran passano a quelle milizie usando il caotico territorio siriano vengono colpiti dagli israeliani.

Se si considera il costo contenuto (stimato intorno ai 20.000 dollari per unità) la Russia può permettersi di comprare centinaia e centinaia di Shahed-136. Resta tuttavia da capire qual è la capacità di produzione iraniana, più volte messa in discussione questi mesi. Per l’esperto del Cepa, nonostante “le informazioni a riguardo siano poche (se non nulle), in base ai video degli arsenali iraniani e al continuo uso di questi sistemi in vari teatri del Medio Oriente, è lecito pensare che Teheran sia in grado di produrne un numero elevato e in maniera costante”.

In una delle valutazioni di intelligence che rende costantemente pubbliche, il ministero della Difesa britannico ha detto che “questi UAV sono lenti e volano a bassa quota, rendendo i velivoli solitari facili da colpire con le difese aeree convenzionali”. Tuttavia ha osservato anche che “c’è la possibilità concreta che la Russia abbia ottenuto un certo successo attaccando con l’impiego di un alto numero di Uav allo stesso tempo”.

“Per il momento va detto che in generale il loro impatto sembrerebbe (e il condizionale è d’obbligo) limitato. Sia per la scelta alquanto curiosa di lanciarli perlopiù contro obiettivi civili o comunque di basso valore strategico, sia per la testata tutto sommato ridotta (tra i 20 e 30kg), sia per la buona reattività dimostrata dalle difese antiaeree ucraine, che, soprattutto negli ultimi giorni, stanno riscontrando un alto tasso di successo nell’abbattere questi sistemi”, spiega Borsari.

Negli ultimi giorni il governo ucraino ha comunicato almeno tre abbattimenti di droni iraniani, mentre altro velivolo erano stati portati a terra integri (frutto di un’azione di jamming?). A Kiev serve migliorare la difesa aerea? “All’Ucraina servono certamente sistemi antiaerei che le permettano di diversificare e stratificare le proprie difese per fronteggiare diverse minacce. Vista la bassa velocità di queste munizioni circuitanti (che non hanno sensori ottici, ma solo un sistema di guida GPS e di puntamento a infrarossi o antiradar), l’ideale sarebbero cannoni antiaerei semoventi come il Gepard tedesco, uniti a vari sistemi di difesa aerea e anti-Uav a corto raggio come Manpads e fucili anti drone (come il già ricevuto Edm4S lituano) di facile dispiegamento e utilizzo”, risponde l’esperto del Cepa.

“Per droni come il Mohajer-6 di cui abbiamo già un esemplare abbattuto — continua parlando di altri Uav forniti dall’Iran, ma più grandi e non a uso-kamikaze — servono sistemi di difesa a medio raggio. L’Iris-T tedesco e il NASAMS rientrano in questa categoria e il primo è già arrivato”. Offrono un’ottima protezione anche se non proprio economicacontro i droni. Nella mattina di giovedì 13 ottobre, mentre questo articolo viene scritto, Londra ha comunicato l’invio di missili da difesa aerea Amraam all’Ucraina.


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