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Via il cappio (cinese) ai Paesi in via di sviluppo. O ci rimetterà la crescita

L’economista ex Fmi e Banca mondiale, oggi docente alla John Hopkins, avvisa Pechino dalle colonne del Washington Post. Anche al Dragone non conviene una recessione globale, il governo rinegozi i prestiti vessatori e dia ossigeno agli Stati più fragili

Di debito si muore. O, nella migliore delle ipotesi si rimane fermi al palo. La crescita globale, già in parte demolita da oltre due anni e mezzo di pandemia e mesi di inflazione, ha un altro nemico giurato: l’indebitamento dei Paesi in via di sviluppo. Formiche.net si è occupata spesso dei finanziamenti concessi dalla Cina alle economie più fragili. Le quali rischiano ogni giorno di finire a gambe all’aria, dal momento che dietro la concessione di denaro ci sono clausole spesso vessatorie ed estremamente aggressive verso il Paese destinatario.

E rimanere invischiati nei prestiti cinesi vorrebbe dire ipotecare un pezzo di crescita mondiale, è il messaggio sottotraccia di Anne Krueger, ex capo economista della Banca mondiale e già vicedirettore generale del Fondo monetario internazionale, oggi Senior Research Professor di International Economics presso la Johns Hopkins University. Il punto è questo: anche alla Cina non conviene una recessione globale, specialmente ora che l’economia del Dragone è fragile come non mai. Dunque, Pechino agisca e liberi i Paesi più fragili dal macigno del debito.

“I flussi di capitali internazionali sono stati a lungo una delle principali fonti di crescita economica”, premette Krueger in un editoriale sul Washington Post. “Dopo la seconda guerra mondiale, i capitali del Piano Marshall hanno consentito la rapida ricostruzione dell’Europa e, dopo che quei Paesi si sono ripresi, si sono estesi ai Paesi in via di sviluppo. Anche il finanziamento privato è aumentato notevolmente: negli anni ’90 rappresentava oltre la metà dei flussi totali di denaro verso i Paesi in via di sviluppo”.

Ora, l’emergere della Cina come primo creditore ha creato dei problemi, anche perché Pechino rifiutato l’invito ad aderire al Club di Parigi, dove si condividono informazioni sulle somme erogate. Inoltre, la Cina non ha voluto partecipare in modo significativo ad accordi multilaterali di ristrutturazione del debito in essere con i Paesi in via di sviluppo. Invece, ha operato come una scatola nera, proponendo ai Paesi destinatari dei prestiti accordi di non divulgazione”. Insomma, trasparenza zero.

Il problema è che il grosso dei governi che hanno ricevuto finanziamenti dalla Cina, sono in difficoltà. In altre parole, insolventi. “Il numero di Paesi che affrontano gravi problemi sul debito ha continuato a crescere”, chiarisce Krueger. “Lo Zambia e lo Sri Lanka sono già inadempienti sui loro prestiti e le loro economie sono in profonda recessione. La conseguente paralisi ha messo in pericolo molti altri Paesi poveri. La Tunisia non può far fronte al proprio bilancio senza un finanziamento obbligazionario internazionale. Il Ghana, già alle prese con un pesante carico di debiti, è stato costretto a novembre a emettere un buono del Tesoro semestrale con un rovinoso tasso di interesse del 36% . Il Pakistan, dopo essere stato devastato dalle inondazioni della scorsa estate, ha riserve di valuta estera pari a solo un mese di importazioni, ben al di sotto di un livello ritenuto sicuro”.

Dunque? “È nell’interesse di tutti trovare il modo di garantire la ristrutturazione del debito, insieme alle necessarie riforme di politica economica, per i Paesi che ne hanno estremo bisogno. Una rinnovata spinta su questo tema potrebbe produrre un accordo tra la Cina e gli altri Paesi creditori a vantaggio di tutti.  Non riuscire ad anticipare le incombenti crisi del debito dei Paesi in via di sviluppo rappresenterebbe un fallimento morale e smorzerebbe anche notevolmente la crescita economica mondiale. Il risultato sarebbe una stagnazione prolungata e una depressione nelle economie oppresse dal debito, con enormi costi umanitari”.

Photo by James Wiseman on Unsplash


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