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Come proteggere l’Indo Mediterraneo dagli attacchi maligni. Conversazione con Soliman

Secondo l’esperto del Mei, serve un’attività di cooperazione transregionale che riguardi sia la sicurezza marittima che la cybersicurezza, perché ci sono Paesi come l’Iran e attori non statali (come Houthi o Hezbollah) che lavorano per destabilizzare l’Indo Mediterraneo, secondo le proprie agende. Tutto mentre Cina e Russia osservano le misure a guida Usa

L’attacco contro la chimichiera Chem Pluto di due giorni fa, avvenuto al largo della coste indiane di Veraval, sottolinea l’espansione della minaccia alla sicurezza marittima, che si estende dal Mar Rosso all’Indo Pacifico. Sottolinea anche come sia profonda l’interconnessione delle rotte commerciali globali e ne mostra la suscettibilità alle instabilità regionale. La Casa Bianca accusa l’Iran apertamente, non soltanto gli yemeniti Houthi che stanno sfogando sull’area i propri interessi riguardo alla guerra israeliana a Gaza.

Mentre Cina e Russia mantengono una linea ambigua, gli Stati Uniti e una serie di Paesi alleati hanno avviato un nuovo rafforzamento militare tra le rotte mediorientali e dell’Asia occidentale, “spazio marittimo fondamentale per l’economia globale”, come lo definisce Mohammed Soliman, direttore dello Strategic Technologies and Cyber Security Program al Middle East Institute di Washington.

Soliman è uno dei massimi esperti delle dinamiche che riguardano quella regione di mondo in cui Mediterraneo allargato e Indo Pacifico si fondono: lo studioso statunitense è il teorico del cosiddetto “costrutto indo-abramitico” – in cui dovrebbe avere uno spazio anche l’Italia, spiegava a Formiche.net mesi fa – che fa da rotta geostrategica e culturale alle connessioni tra Oriente e Occidente lungo quell’Indo Mediterraneo. Connessioni sempre più determinante per i destini geopolitici e geoeconomici internazionali, anche grazie ai grandi progetti in preparazione (come il corridoio noto come Imec, “imperativo strategico” anche per Roma spiegava in un’altra occasione sempre Soliman).

Con l’esperto del Mei diventa dunque importante fare un punto della situazione, analizzando gli effetti che questa destabilizzazione in corso all’interno di quella regione, che stiamo definendo Indo-Mediterrano, stanno producendo sugli equilibri, partendo innanzitutto dalle entità che mirano ai corridoi abramitici e indo-mediterranei. È importante notare che ci sono svariate voci che hanno indicato l’alterazione di certi progetti (pratici e culturali) tra le ragioni che hanno spinto Hamas all’azione il 7 ottobre, giorno dello Shabat di Sangue che ha aperto la successiva invasione israeliana di Gaza e prodotto la nuova destabilizzazione regionale con effetti internazionali. Per esempio, alterare i piani della normalizzazione tra sauditi e israeliani era tra gli obiettivi reconditi del gruppo palestinese e dei suoi protettori a Teheran (e non solo).

“L’Iran – spiega Soliman – in quanto potenza transregionale che ha trasformato Iraq, Siria, Libano e Yemen in Stati vassalli, vede qualsiasi tipo di consolidamento tra gli Stati del Golfo, l’Egitto e Israele come un tentativo di minare la propria influenza e di ripristinare l’equilibrio di potere. Pertanto, contrastare gli Accordi di Abramo, il Forum del Negev, I2U2 e l’Imec è una priorità assoluta per l’Irgc (il Corpo dei Guardiani della Rivoluzione iraniana, la fortissima componente militare teocratica ndr) e gli strateghi di Teheran”.

Ma al di là dell’Iran, ci sono anche attori non statali che hanno agende parzialmente collegate a Teheran e che come Teheran hanno esigenze proprie di sopravvivenza. Gli Houthi appunto e Hezbollah, che, fa notare Soliman, “percepiscono qualsiasi tipo di consolidamento del centro geopolitico arabo-israeliano come una minaccia alla loro influenza e alla loro impronta locale e regionale. Pertanto, perseguono la destabilizzazione regionale per difendere la loro esistenza a lungo termine. Inoltre, la maggior parte degli attori non statali opera per conto di grandi potenze attraverso operazioni segrete, quindi il loro comportamento potrebbe essere dovuto a ragioni ideologiche”.

Davanti a questo quadro che minaccia la stabilità di una delle principali rotte commerciali a livello globale, ma anche di un disegnino socio-culturale e geopolitico, diventa necessaria una reazione. L’attività di sicurezza marittima già presente non è stata in grado di scoraggiare le azioni condotte in questi ultimi due mesi, anche a questo si lega la necessità di creare un’operazione speciale (che va sotto il nome di “Prosperity Guardian”). Washington ha raccolto adesione e sostegno di diversi alleati, ma non senza complessità. Come spiegava Alberto Rizzi (Ecfr), in ballo c’è anche il de-risking dalla Cina, che è non applicabile senza condizioni di sicurezza e volontà di cooperazione (da dimostrare anche in questi momenti complicati).

“Rafforzare la cooperazione in materia di sicurezza marittima, per esempio attraverso la condivisione delle informazioni, e coordinare i pattugliamenti tra gli attori regionali e globali è una necessità”, aggiunge l’esperto del Mei. “Tuttavia, sebbene l’operazione Prosperity Guardian, recentemente annunciata e guidata dagli Stati Uniti, sia una notizia positiva, non fornisce una soluzione sostenibile. Con l’incertezza che circonda la partecipazione di Francia, Spagna e Italia”. Il ministero della Difesa di Roma ha annunciato di inviare una fregata per contribuire a certe attività, e a sostegno là dell’operazione speciale guidata dal Pentagono. La nave sarà poi integrata nell’operazione dell’Ue “Atalanta”, pensata per la maritime security del Mar Arsbico.

Soliman nota che i Paesi europei, potrebbero preferire di condurre ulteriori operazioni marittime solo sotto il comando della Nato e/o dell’Unione europea, optando per una leadership europea piuttosto che americana. Anche per questo l’Ue si è mossa in avanti, per dare un sostegno politico alle attività. “Pertanto, è necessaria una task force marittima transregionale che includa Egitto e Arabia Saudita, le due potenze del Mar Rosso, e Francia, Italia e Grecia, e le potenze asiatiche con interessi commerciali e strategici, principalmente Corea, Giappone, Indonesia e India”, spiega.

Ma non solo. Soliman accenna anche a misure di sicurezza informatica, determinanti anche tenendo conto delle interferenze ai segnali registrate, secondo alcune fonti informate, dalle navi che nei giorni scorsi passavano ancora per il Mar Rosso. Il suggerimento dello studioso del Mei è di rafforzare le infrastrutture critiche e i sistemi di comunicazione contro le minacce informatiche che potrebbero interrompere le attività marittime: “La resilienza informatica è una delle misure più sottovalutate, che richiedono invece una maggiore cooperazione transregionale. Inoltre, esiste un incentivo per un meccanismo transregionale che utilizzi tecnologie avanzate di sorveglianza e monitoraggio per identificare e scoraggiare potenziali minacce”.

E l’Imec? Davanti alla destabilizzazione della rotta classica che segue il corridoio Bab el Mandeb-Suez per collegare Europa e Asia, non diventa fondamentale accelerare verso almeno un’alternativa? “L’Imec mira a creare una rotta commerciale sicura che colleghi l’India, il Medio Oriente e l’Africa orientale: gli attacchi continuati degli Houthi confermano la mia visione che qualsiasi corridoio economico o minilaterale, alla fine, deve includere solide misure di sicurezza per evitare l’escalation delle tensioni o la creazione di nuove vulnerabilità”.

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