Washington ha messo sul piatto oltre 20 miliardi di dollari nei prossimi cinque anni sulla sicurezza marittima. Nel mirino i prodotti di Zpmc, presenti anche nel nostro Paese
Il governo degli Stati Uniti ha deciso di investire oltre 20 miliardi di dollari nei prossimi cinque anni sulla sicurezza dei porti nazionali, con l’obiettivo, tra gli altri, di dismettere l’utilizzo di gru di fabbricazione cinese. Un po’ come fatto sul 5G, con i divieti sui fornitori cinese Huawei e Zte seguiti dallo stanziamento di fondi per la rimozione e la sostituzione delle apparecchiature. L’intervento rientra nel quadro di una serie di azioni del presidente Joe Biden per migliorare la cybersicurezza marittima. Le spese saranno coperte dal pacchetto infrastrutturale da mille miliardi di dollari approvato nel 2021 dal Congresso americano. A produrre le nuove gru portuali sarà una controllata statunitense della compagnia giapponese Mitsui.
La decisione delle autorità federali segue un’inchiesta pubblicata lo scorso anno dal Wall Street Journal, che ha riferito dei timori statunitensi in merito ai rischi di spionaggio e sabotaggio legati alla presenza nei porti americani (alcuni utilizzati anche dalle forze armate) di un enorme numero di gru giganti fabbricate da colossi statali cinesi. La preoccupazione di Washington è che i software impiegati dalle gru possano essere controllati dalla Cina, in particolare nel caso di un conflitto nello Stretto di Taiwan o altrove. “Lo sviluppo delle capacità logistiche marittime di Pechino e l’uso di tecnologie logistiche commerciali cinesi aumentano il rischio di spionaggio e di potenziali disagi nelle operazioni portuali” negli Stati Uniti, si legge in un documento pubblicato a settembre dal dipartimento per la Sicurezza interna.
Le gru impiegate nei porti statunitensi sono per l’80 per cento prodotte dalla cinese Zpmc, di proprietà del colosso China Communications Construction Company, contractor di numerosi progetti della Belt and Road Initiative. Dispongono anche di sensori sofisticati che possono registrare e tracciare l’origine e la destinazione dei container in transito, consentendo così potenzialmente a Pechino di assumere informazioni sulla ricezione o sulla spedizione di materiale (anche militare) da parte degli Stati Uniti. Isaac B. Kardon, senior fellow dell’Asia Program presso il Carnegie, aveva parlato con Formiche.net di minaccia “piuttosto significativa” alla luce del fatto che le gru cinesi rappresentano il 70-80% del mercato globale.
Come raccontato l’anno scorso da Formiche.net, queste gru sono presenti anche in alcuni porti italiani assieme a Logink, piattaforma di raccolta dati nelle mani del Partito comunista che, venduta a basso prezzo, consente a Pechino di poter sfruttare colli di bottiglia ma anche tracciare carichi militari su navi commerciali.