Nella Striscia di Gaza stanno arrivando gli aiuti inviati tramite il corridoio marittimo che porta generi di prima necessità verso il porto galleggiante davanti alle coste palestinesi. Il Pentagono fa un primo bilancio della struttura, che in futuro potrebbe avere un ruolo (meno-temporaneo) nel day-after
Il Pentagono nei giorni scorsi ha comunicato i numeri della prima settimana di attivazione del corridoio marittimo per Gaza, l’iniziativa che serve a portare aiuti umanitari nella Striscia – dove la situazione è “disastrosa”, per usare il termine con cui l’ha definita la Corte di giustizia internazionale nella sentenza con cui ha chiesto a Israele di bloccare l’assalto a Rafah, nel sud.
Il corridoio collega Cipro a un porto temporaneo che il Pentagono ha costruito sulla costa gaziese, utilizzando delle strutture prefabbricate galleggianti. La difesa americana dice, in un briefing per la stampa, che sono stati già trasportati “un milione di libbre” di aiuti – si tratta più o meno di 500mila chilogrammi di generi di primissima necessità.
A Gaza si muore di fame, letteralmente: era stata Samantha Power, direttrice dell’Agenzia statunitense per lo sviluppo internazionale (Usaid), a dirlo a metà aprile ai legislatori americani, esplicitamente in uno scambio di battute con Joaquin Castro, deputato democratico del Texas, durante un’audizione alla Commissione Affari Esteri della Camera statunitense. Ma Power, e con lei le Nazioni Unite e altre ong presenti, lo dicono almeno da marzo: le persone in alcune parti del nord di Gaza hanno iniziato ad affrontare la carestia.
Il vice comandante del CentCom Brad Cooper, che ha fornito aggiornamenti, spiega che la gran parte degli aiuti è stato distribuito dalle Nazioni Unite, e che il lavoro “viene svolto come parte degli sforzi più ampi degli Stati Uniti insieme ai partner internazionali per aumentare l’assistenza ai palestinesi bisognosi”.
Il corridoio marittimo funziona così: gli aiuti (che vengono da varie forme di assistenza, da organizzazioni private e sforzi governativi come l’iniziativa italiana “Food for Gaza”) vengono portati a Cipro e lì sottoposti a screening, poi imballati per attraversare il Mediterraneo orientale verso il porto galleggiante davanti a Gaza. Una volta raccolti sulle coste palestinesi, vengono poi distribuiti.
La raccolta prima della distribuzione è la parte più delicata, spiegano le fonti militari. E infatti gli Stati Uniti hanno installato in un angolo della passerella temporanea un sistema C-Ram per la protezione della struttura. Si tratta di una batteria contraerea leggera, utilizzata ad esempio per la protezione di alcune ambasciate sensibili (come a Baghdad), in grado di ingaggiare attacchi sia di razzi/missili che di colpi di mortaio e droni.
Nei giorni scorsi erano circolate immagini della sua attivazione, ma poi il Pentagono ha spiegato che era semplicemente un test: resta che Hamas – che con l’attacco macabro del 7 ottobre ha aperto la stagione di guerra – potrebbe aver interessi a colpire anche gli aiuti, perché il disastro umanitario prodotto dalla guerra israeliana è una leva che il gruppo terroristico può usare a livello internazionale contro il governo di Gerusalemme. Oppure potrebbero voler disturbare in qualche modo gli americani, avendo già dichiarato che non hanno diritto di essere presenti nella Striscia.
La realizzazione della struttura era stata annunciata dal presidente Joe Biden due mesi fa, e la scorsa settimana è stata ultimata – nei tempi previsti. Tuttavia la situazione è ancora molto critica. Per esempio, a causa del deteriorarsi delle situazioni di sicurezza, l’Onu ha dovuto stoppare l’invio di assistenza a Rafah, la città del sud della Striscia oggetto delle più intense operazioni militari israeliane in questo momento (la missione onusiana Unrwa dice che il centro di distribuzione e la sede del World Food Programme adesso sono inaccessibili per via delle operazioni militari).
“Abbiamo migliaia di tonnellate di aiuti in the pipeline”, ossia già nella catena di invio, dice Cooper, aggiungendo: “Incoraggiamo i donatori internazionali a continuare i loro contributi in modo da poter sostenere e aumentare il volume di aiuti salvavita che raggiungono il popolo di Gaza ogni giorno”.
Il corridoio marittimo è una delle strutture internazionali che potrebbe anche riguardare il complicato day-after, ossia la fase post-bellica su cui si è creata rottura tra Israele e la Comunità internazionale – soprattutto con gli Stati Uniti, che ripetono da mesi la richiesta di piani concreti per capire cosa verrà dopo la guerra. L’infrastruttura potrebbe essere un punto di arrivo di altri aiuti per la ricostruzione, la sua presenza potrebbe essere consolidata anche all’interno di altri progetti più ampi e strategici che in futuro potrebbero coinvolgere Gaza – come Imec, per esempio. Il corridoio per questo ha anche un valore geopolitico.