Nei prossimi anni, da qualunque parte la si voglia vedere, le grandi istituzioni che prestano denaro ai Paesi in via di sviluppo dovranno creare le condizioni per una ristrutturazione su larga scala dei debiti. O non ci sarà né crescita né futuro
La si potrebbe mettere in questo modo: il debito non è necessariamente negativo, perché quasi tutti i Paesi contraggono debito estero per alimentare la propria economia. Lo fa l’Italia, lo fanno gli Stati Uniti, la Cina. E lo fanno i Paesi in via di sviluppo, anche se spesso con clienti poco raccomandabili, come il Dragone tanto per fare un esempio. Ne sanno qualcosa i Paesi africani, le cui economie, come raccontato in più riprese da Formiche.net, sono state letteralmente strozzate dai prestiti concessi dalle grandi banche cinesi, pronte a fare incetta di asset e imprese al primo cenno di insolvenza. L’Italia, giova ricordarlo, è in prima linea con il Piano Mattei. Ma senza un abbattimento dei debiti, sarà tutto più difficile.
La pandemia e poi la grande onda dell’inflazione hanno aumentato il ricorso al debito e dunque ai prestiti con creditori stranieri. Il che, racconta Foreign Affairs, apre scenari a dir poco inquietanti per il futuro. Le grandi istituzioni internazionali, a cominciare dalla Banca mondiale e dal Fondo monetario, ambedue creditori di molti Paesi, stanno cercando da tempo di mettere sotto controllo il debito dei Paesi meno avanzati. Perché sarà proprio questo il problema del futuro, l’eccessivo indebitamento di molte economie che non hanno sufficienti munizioni.
Ma come fare? “Per aiutare i Paesi a basso reddito a uscire dalla crisi del debito e ripristinare la crescita globale, i governi ricchi dovrebbero aumentare i finanziamenti per i programmi della Banca mondiale (di cui gli stessi governi sono azionisti, ndr) e basarsi sui precedenti sforzi di riduzione del debito, come quelli coordinati dal G20, rivolti ai Paesi più poveri. Insieme, i leader mondiali hanno il potere di scrivere una nuova storia, che si concluda positivamente per 1,5 miliardi di persone per le quali l’Africa è la loro casa”, scrive l’autorevole rivista.
Ora, “nell’Africa subsahariana ben 19 Paesi non sono in grado oggi di pagare i debiti o sono ad alto rischio di arrivare a tale punto, cioè all’insolvenza. Il
primo passo per rendere possibile un alleggerimento del debito è riformare il Common Framework del G20. I creditori, infatti, finora non sono riusciti a concordare su come condividere i costi di una ristrutturazione del debito, ed è tempo che riconoscano che le procedure progettate per il mondo di 20 anni fa devono essere rinnovate. Alcune potenziali soluzioni sono già sul tavolo, come quella di un gruppo di ministri delle finanze africani, che ha proposto una riforma per includere i creditori privati nel processo di ristrutturazione del debito”.
In ogni caso, il problema c’è. “Aiutando i Paesi africani a uscire da questa crisi, i governi occidentali e le istituzioni finanziarie internazionali potrebbero sbloccare molti più finanziamenti per l’innovazione e lo sviluppo africano. Potrebbero liberare risorse per costruire una resilienza a lungo termine nei sistemi sanitari e alimentari. E consentirebbero ai governi di pagare più insegnanti e operatori sanitari, assicurando che la prossima generazione di africani, la popolazione in più rapida crescita sul pianeta, possa realizzare il proprio pieno potenziale”.