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Bergoglio e la lezione di soft power che serve all’Occidente. La lettura di Giovagnoli

Papa Francesco ha mostrato quanta forza abbia ancora oggi un soft power così legato all’Occidente, quale è il cristianesimo: è una prospettiva che va al di là del terreno strettamente religioso. Il commento di Agostino Giovagnoli

Papa Francesco è stato soprattutto un grande evangelizzatore. Con una vocazione missionaria – da giovane sognava di essere inviato in Giappone, ma non lo fu per “precarie” condizioni di salute – e formato dai gesuiti con una spiritualità missionaria, ha dedicato tutte le sue energie alla “salvezza delle anime”, per usare la terminologia del Concilio di Trento. Non al proselitismo, per fare grande la Chiesa, ma a toccare il cuore di tutti perché si aprisse al Vangelo. In questa chiave si comprendono scelte ed omissioni, slanci felici ed “errori” vistosi, forte determinazione e improvvisi scarti, grandi audacie e sorprendenti prudenze. Qualunque cosa e a qualsiasi costo, pur di avvicinare anche i più lontani.

Al missionario non occorrono progetti definiti fin nei particolari, come quelli necessari al governo di una grande istituzione mondiale, come quello che fu al centro delle preoccupazioni di Paolo VI. E neanche una visione della Chiesa aperta al futuro ma radicata nella sua tradizione millenaria, come quella che ebbe Giovanni Paolo II. Il missionario sa inoltre che una teologia molto raffinata, come quella di Benedetto XVI, può essere d’impaccio alla sua opera. Francesco ha ripreso la direzione indicata dal Concilio Vaticano II, che Giovanni XXIII definì una “novella Pentecoste” e di cui Paolo VI sottolineò la proiezione verso una nuova evangelizzazione. E ha portato a compimento il Concilio su una questione essenziale: l’apertura ai poveri. Già papa Roncali aveva parlato di una “Chiesa di tutti e in particolare di poveri” e Paolo VI ha rinunciato al triregno pontificio tempestato di gioielli. Ma i padri conciliari, che pure avrebbero voluto dedicare un intero documento ai poveri, non ci riuscirono (un gruppo di loro, tra cui molti vescovi sudamericani, strinsero perciò il “patto delle catacombe” per impegnarsi a non dimenticarli). Una Chiesa evangelizzatrice, infatti, sa che il Vangelo è destinato anzitutto ai poveri – come insegnano le Beatitudini – e deve perciò essere anzitutto aperta a loro. Papa Francesco ha scelto il nome del santo di Assisi – come ha spesso ripetuto – proprio per non dimenticarsi dei poveri e non ha solo praticato la carità nei loro confronti ma li inseriti nel cuore stesso della comunità ecclesiale.

Divenuto papa, ha potuto dedicarsi interamente alla sua vocazione evangelizzatrice e ha viaggiato come non aveva mai fatto in precedenza, compiendo ben 47 viaggi apostolici in dodici anni, a fronte dei 104 di Giovanni Paolo II in ventisette anni. Molti di questi viaggi sono stati compiuti in Asia – pensando alla Cina ma non solo – perché è questo il continente dove il Vangelo è più sconosciuto. Proiettato verso i “lontani” è stato poco compreso dai “vicini” e cioè dai cristiani e dai postcristiani occidentali, abituati a una familiarità secolare con la tradizione cristiana che talvolta si traduce in una pretesa di possesso esclusivo sulla Chiesa. Ma è stata una reazione sbagliata: a partire dall’età moderna, i gesuiti e, in generale, tutti i missionari proiettati “ad gentes” hanno contribuito a fare grande l’Occidente. Mentre i colonizzatori europei hanno cercato di sottomettere il resto del mondo con la forza, i missionari hanno esercitato quella sorta di soft power che è l’annuncio cristiano, accompagnato da molte forme diverse di trasmissione del sapere ad esso collegato. Ed è proprio ad esercitare il suo grandissimo soft power – come proponeva il grande diplomatico americano Joseph. S. Nye – che l’Occidente in particolare gli Stati Uniti hanno rinunciato a partire dagli anni Novanta del secolo scorso, oscillando tra una fiducia cieca nelle capacità “educative” del mercato e il “clash of civilisation”. Entrambe queste strade si sono rivelate sbagliate. Papa Francesco, invece, ha mostrato quanta forza abbia ancora oggi un soft power così legato all’Occidente quale è il cristianesimo: è una prospettiva che va al di là del terreno strettamente religioso.


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