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L’obesità è (anche) un tema economico. Jommi spiega perché

Di Claudio Jommi

L’obesità costa all’Italia 13,4 miliardi di euro, quasi lo 0,7% del Pil. I nuovi farmaci possono cambiare la traiettoria, ma serve coniugare innovazione e sostenibilità del Ssn. Il punto di Claudio Jommi, professore di Economia aziendale presso il dipartimento di Scienze del farmaco dell’Università del Piemonte orientale

La estensione di indicazione all’obesità di farmaci già approvati e rimborsati per il diabete e l’approvazione del Ddl 1483 che prevede un riconoscimento formale dell’obesità come malattia cronica, progressiva e recidivante hanno ulteriormente accesso i riflettori sia sul costo attuale dell’obesità sia sugli effetti che prospetticamente avranno i farmaci sui costi e benefici per i pazienti.

COSTI DIRETTI E INDIRETTI

Quando si parla di costo di una malattia si possono includere sia i costi per prestazioni sanitarie (a carico del Servizio sanitario nazionale o del paziente), sia altri costi direttamente attribuibili alla patologia (ad esempio costi collegati all’assistenza fornita da operatori non sanitari o dei caregiver informali) sia i costi collegati alla perdita di produttività per assenza dal lavoro o presenza in condizioni non efficienti (cosiddetto presenteism), detti costi indiretti.

L’IMPATTO DELL’OBESITÀ

Una recente revisione sistematica di letteratura ha evidenziato che l’obesità ha un costo molto variabile da paese a paese con valori che arrivano fino all’1% del Pil. Il costo dell’obesità è generato soprattutto dalle patologie di cui l’obesità è causa o con-causa, in particolare diabete e malattie cardiovascolari. La componente sanitaria dei costi è compresa, nei Paesi ad alto reddito, tra il 2,4% ed il 4,8% della spesa sanitaria complessiva. I costi indiretti variano dal 20% all’80% del costo totale della patologia, variabilità che dipende essenzialmente dalle voci di costo introdotte: nei costi indiretti a volte vengono conteggiati anche i mancati introiti fiscali derivanti dalla perdita di giornate lavorative e questo aumenta in modo sensibile tali costi.

La revisione include anche uno studio italiano pubblicato nel 2022 e riferito al 2020. Secondo tale studio il costo dell’obesità in Italia è di 13,34 miliardi di Euro, pari allo 0,7% del Pil. Di questi il 59% sono costi sanitari (4,8% della spesa sanitaria), in prevalenza associati a patologie cardiovascolari (84% dei costi sanitari), mentre gli interventi specifici sull’obesità (chirurgia bariatrica) rappresentano solo il 3% delle spesa sanitaria. Tra i costi indiretti il presenteism rappresenta più del 50% dei costi. Gli studi analizzati nella review sono basati su approcci modellistici che, partendo da stime di prevalenza dell’obesità, associano al paziente obeso l’incidenza di patologie attribuibili e le evidenze di costo per tali patologie. Esistono anche studi che utilizzano dati non modellistici, ma reali, ma sono piuttosto rari e parziali. Ad esempio, un’analisi sui dati delle prestazioni sanitarie da database amministrativi di tre aziende sanitarie locali, integrati con informazioni sull’indice di massa corporea, evidenzia che i costi a carico del Servizio sanitario nazionale per i pazienti obesi sia superiore del 42% rispetto a normo-peso e del 15% rispetto ai pazienti in sovrappeso.

L’EFFETTO DEI FARMACI ANTI-OBESITÀ

Una delle questioni ad oggi dibattuta è quale effetto prospettico potrebbero avere i farmaci anti-obesità su tali costi. Da una parte i farmaci hanno un costo non trascurabile e rappresentano, almeno in linea di principio, una terapia cronica. Dall’altra incidono sul peso ed il peso aumenta il rischio di insorgenza di patologie ad alto impatto economico. L’effetto netto potrebbe essere quello di una riduzione dei costi complessivi. Se l’effetto netto è invece un aumento dei costi (i costi evitati non compensano i costi del trattamento), cosa che accade molto spesso quando viene introdotta un’innovazione in ambito farmaceutico, è importante capire, da un lato, quale sia il rapporto tra incremento netto atteso dei costi e beneficio netto atteso, ovvero impatto su sopravvivenza e qualità della vita per ogni paziente trattato (costo-efficacia); dall’altro, quale sia il presumibile effetto sui costi totali nel tempo, che dipende dalla numerosità dei pazienti trattati.

Le evidenze internazionali sulla costo-efficacia dei farmaci per l’obesità sono ancora piuttosto limitate e eterogenee nei risultati. In termini generali tali farmaci producono nel lungo periodo un incremento dei benefici e dei costi (netti), ma l’entità dei costi incrementali rispetto ai benefici incrementali (il cosiddetto Icer – Rapporto incrementale di costo-efficacia) è molto diversa da studio a studio. La variabilità dipende, tra gli altri aspetti, dal costo del farmaco (e di eventuali trattamenti alternativi), che è diverso da paese a paese, dalla popolazione target per la quale le analisi vengono effettuate e dalla prospettiva di costo utilizzata. La letteratura ha anche sottolineato l’incertezza sottostante a queste valutazioni prospettiche di lungo periodo, incertezza sulla continuità di trattamento, sul mantenimento nel tempo della riduzione di peso, sull’impatto in termini di rischio di insorgenza di patologie, con conseguenti costi evitati e beneficio per il paziente in termini di sopravvivenza e qualità della vita.

IL CASO BRITANNICO

Più che tali evidenze, per le quali esistono anche revisioni sistematiche di letteratura che confermano la grande variabilità dei risultati, è interessante citare come i dati di costo-efficacia siano stati utilizzati per le decisioni di rimborso, attualmente molto limitato a livello europeo. In particolare, il Regno Unito, con il National institute for health and care excellence (Nice), utilizza sistematicamente la costo-efficacia come strumento decisionale, con valori-soglia all’Icer, pari a 20/30 mila sterline per anno di vita in più in perfetta salute (indicatore che include sopravvivenza e qualità della vita). Questo ha portato il Nice ad essere piuttosto restrittivo nella rimborsabilità dei farmaci.

La decisione del Nice è stata dunque di rimborsare tutti e tre i farmaci (liraglutide, semaglutide, tirzepatide) per l’obesità, ma per condizioni più restrittive rispetto a quelle approvate, in termini di soglia minima di indice di massima corporea, di profilo di rischio e di patologie concomitanti, e con una richiesta alle aziende di sconti confidenziali. L’eventuale rimborso per sottopopolazioni per le quali il profilo di rischio è maggiore non solo indirizza l’uso del farmaco a chi ne ottiene maggiori vantaggi (migliorando quindi il profilo di costo-efficacia) ma viene incontro, insieme a scontistiche sul prezzo da richiedere alle imprese, all’importante impatto sulla spesa che si avrebbe su tutta la popolazione obesa. Potrebbe essere questo un approccio, oltre a forme di compartecipazione dell’assistito (che oggi paga i farmaci a prezzo pieno), per allargare il numero di paesi in cui tali farmaci sono rimborsati.


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