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Leone XIV e la sua Chiesa povera, per i poveri. Scrive Cristiano

I movimenti popolari per papa Leone costruiscono la solidarietà nella diversità. Con il quinto incontro mondiale con i movimenti popolari, Prevost definisce il suo pontificato, proseguendo quello del suo predecessore con modi innovati. La riflessione di Riccardo Cristiano

Il pontificato di Leone XIV si delinea: dopo il primo testo del suo magistero, l’esortazione apostolica interamente dedicata ai poveri Dilexi te (Ti ho amato), ecco il quinto incontro mondiale con i movimenti popolari, l’innovazione voluta da papa Francesco per materializzare la sua “Chiesa povera e per i poveri”.

Molto spesso per dare un volto a questi movimenti popolari si sono usati i “catoneros” argentini, che Bergoglio ben conosceva nella sua Buenos Aires: lavorano raccogliendo i rifiuti riciclabili per strada, a partire dal cartone, una traduzione pratica di quel superamento dell’economia dello scarto e quindi, allargando lo sguardo, della società dello scarto che è al centro dell’incontro tra Chiesa e Movimenti Popolari. Gran parte dei cartoneros infatti sono organizzati in gruppi sindacali e cooperative per rivendicare condizioni di lavoro dignitose. È solo un esempio, importante, dei tanti volti che hanno i movimenti popolari, che pongono al centro la solidarietà inclusiva. Centro, è la parola che Leone ha scelto per aprire il suo discorso di saluto che ha preso le mosse dalla triade che nel primo incontro con i movimenti popolari Francesco indicò come costitutiva dei diritti di tutti: “terra, tetto, lavoro”. “Facendo eco alle richieste di Francesco, oggi dico: la terra, la casa e il lavoro sono diritti sacri, vale la pena lottare per essi, e voglio che mi sentiate dire ‘ci sto!’, ‘sono con voi!'”.

Ricordando la notissima enciclica di Leone XIII, Rerum Novarum, le cose nuove, Leone XIV ha proseguito affermando: “Ci sono certamente ‘cose nuove’ nel mondo, ma quando diciamo questo, in genere adottiamo uno ‘sguardo dal centro’ e ci riferiamo a cose come l’intelligenza artificiale o la robotica. Tuttavia, oggi vorrei guardare alle ‘cose nuove’ con voi, partendo dalla periferia. […] Chiedere terra, casa e lavoro per gli esclusi è una ‘cosa nuova’? Visto dai centri del potere mondiale, certamente no; chi ha sicurezza finanziaria e una casa confortevole può considerare queste richieste in qualche modo superate. Le cose veramente ‘nuove’ sembrano essere i veicoli autonomi, oggetti o vestiti all’ultima moda, i telefoni cellulari di fascia alta, le criptovalute e altre cose di questo genere. Dalle periferie, però, le cose appaiono diverse; […] Questa è la prospettiva che desidero trasmettere: le cose nuove viste dalla periferia e il vostro impegno che non si limita alla protesta, ma cerca soluzioni. Le periferie spesso invocano giustizia e voi gridate non ‘per disperazione’, ma ‘per desiderio’: il vostro è un grido per cercare soluzioni in una società dominata da sistemi ingiusti. E non lo fate con microprocessori o biotecnologie, ma dal livello più elementare, con la bellezza dell’artigianato. E questa è poesia: voi siete ‘poeti sociali'”.

I movimenti popolari – partiti in processione per recarsi dal papa da uno stabile occupato e divenuto cantiere di rigenerazione urbana, centro culturale polifunzionale e sede dell’incontro mondiale dei movimenti popolari – per Leone costruiscono la solidarietà nella diversità: “La Chiesa deve essere con voi: una Chiesa povera per i poveri, una Chiesa che si protende, una Chiesa che corre dei rischi, una Chiesa coraggiosa, profetica e gioiosa!”. Sono parole nelle quali non è certo uno scandalo scorgere quel “Francesco II” tanto temuto da alcuni, non per intendere un clone, ma un prosecutore del pontificato precedente, con modi innovati. In un certo qual modo questo tratto emerge anche dall’immediato riferimento che Leone ha fatto alla sua esperienza episcopale latino-americana: “Come Vescovo in Perù, sono felice di aver sperimentato una Chiesa che accompagna le persone nei loro dolori, nelle loro gioie, nelle loro lotte e nelle loro speranze. Questo è un antidoto contro un’indifferenza strutturale che si va diffondendo e che non prende sul serio il dramma di popoli spogliati, derubati, saccheggiati e costretti alla povertà. Spesso ci sentiamo impotenti dinanzi a tutto questo, eppure, a questa che ho definito «globalizzazione dell’impotenza», dobbiamo iniziare ad opporre una «cultura della riconciliazione e dell’impegno». I movimenti popolari colmano questo vuoto generato dalla mancanza di amore con il grande miracolo della solidarietà, fondata sulla cura del prossimo e sulla riconciliazione”.

Il papa ha proseguito riprendendo la prospettiva del mondo capito dalle periferie più che dal centro, decisiva nel pontificato del suo predecessore, ancorandola al discorso sulle “cose nuove”, cruciale nel pontificato che ha scelto come riferimento, quello del papa della Rerum Novarum, le cose nuove: “Il normale discorso sulle ‘cose nuove’ – con le loro potenzialità e i loro pericoli – omette ciò che accade alla periferia. Dal centro c’è poca consapevolezza dei problemi che colpiscono gli esclusi, e quando se ne parla nelle discussioni politiche ed economiche, si ha l’impressione che si tratti di «una questione aggiunta quasi per dovere o in modo tangenziale, se non trattata semplicemente come un danno collaterale. In effetti, alla fine dei conti, spesso rimangono in fondo alla lista delle priorità». Al contrario, i poveri sono al centro del Vangelo. Perciò, le comunità emarginate dovrebbero essere coinvolte in un impegno collettivo e solidale volto a invertire la tendenza disumanizzante delle ingiustizie sociali e a promuovere uno sviluppo umano integrale. Infatti, «finché i problemi dei poveri non saranno risolti in modo radicale, rifiutando l’autonomia assoluta dei mercati e della speculazione finanziaria e affrontando le cause strutturali della disuguaglianza, non si troverà alcuna soluzione ai problemi del mondo o, per meglio dire, a nessun problema. La disuguaglianza è la radice dei mali sociali»”. Tutto questo è al cuore della globalizzazione come aveva colto Benedetto XVI, così citato dal Leone: “I processi di globalizzazione, se adeguatamente compresi e orientati, aprono possibilità senza precedenti di ridistribuzione su vasta scala della ricchezza a livello mondiale; se invece sono mal orientati, possono portare ad un aumento della povertà e delle disuguaglianze e potrebbero persino innescare una crisi globale”. Aveva visto male?

Per Leone occorre l’etica della responsabilità e non l’idolatria del profitto, dunque una gestione adeguata delle “cose nuove”. Leone XIII, ha detto papa Prevost, si concentrò non certo sulle innovazioni tecnologiche nella “Rerum Novarum”, ma sulle condizioni dei lavoratori, perché questo era il problema del tempo e che poi vide miglioramenti. “Oggi, invece, l’esclusione è il nuovo volto dell’ingiustizia sociale. Il divario tra una ‘piccola minoranza’ – l’1% della popolazione – e la stragrande maggioranza si è ampliato in modo drammatico. Tale esclusione è una “novità” che Papa Francesco ha denunciato come ‘cultura dello scarto’, affermando con veemenza: «Gli esclusi non sono ‘sfruttati’, ma emarginati, ‘scarti’». Quando parliamo di esclusione, ci troviamo anche di fronte a un paradosso. La mancanza di terra, cibo, alloggio e lavoro dignitoso coesiste con l’accesso alle nuove tecnologie che si diffondono ovunque attraverso i mercati globalizzati. I telefoni cellulari, i social network e persino l’intelligenza artificiale sono alla portata di milioni di persone, compresi i poveri. Tuttavia, mentre sempre più persone hanno accesso a Internet, i bisogni primari rimangono insoddisfatti. Assicuriamoci che, quando vengono soddisfatti bisogni più sofisticati, quelli fondamentali non vengano trascurati”. Perché è qui che troviamo la radice del fallimento del sistema.

La cattiva gestione del progresso tecnologico lo ha portato a soffermarsi sul suo prodotto più grave, la crisi climatica, che con i suoi eventi estremi colpisce in primis sempre i più poveri. Poi ci sono i modelli sociali: “Come può un giovane povero vivere con speranza e senza ansia quando i social media esaltano costantemente un consumo sfrenato e un successo economico totalmente irraggiungibile?”.

Proseguendo su questa strada Leone è arrivato al cuore delle nuove tecnologie, quel coltan senza il quale non ci sarebbero i nostri dispositivi tecnologici e che proviene in grandissima parte dalle miniere della Repubblica Democratica del Congo: “La sua estrazione dipende dalla violenza paramilitare, dal lavoro minorile e dallo sfollamento delle popolazioni”. Un altro “oro bianco” che è causa di golpe conclamati è il litio.

Tornando ai movimenti popolari e alla “cose nuove”, il papa ha ricordato che il papa della Rerum Novarum lamentò a suo tempo (cioè nel 1890) che le vecchie corporazioni non erano state sostituite da nuove organizzazioni protettive: “Oggi sta accadendo qualcosa di simile, perché i sindacati tipici del XX secolo rappresentano ormai una percentuale sempre più esigua dei lavoratori e i sistemi di sicurezza sociale sono in crisi in molti Paesi; perciò, né i sindacati né le associazioni dei datori di lavoro, né gli Stati né le organizzazioni internazionali sembrano in grado di affrontare questi problemi”. Uno Stato senza giustizia, diceva Sans’Agostino, non è uno Stato. E allora? Allora “come la Chiesa ha accompagnato la formazione dei sindacati in passato, oggi dobbiamo accompagnare i movimenti popolari. Questo significa accompagnare l’umanità, camminare insieme nel rispetto condiviso della dignità umana e nel desiderio comune di giustizia, amore e pace”. E così non poteva che concludere con queste parole: “La Chiesa sostiene le vostre giuste lotte per la terra, la casa e il lavoro. Come il mio predecessore papa Francesco credo che le vie giuste partano dal basso e dalla periferia verso il centro”.


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