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Guerra in Sudan. La resa di El Fasher apre la lotta per Kordofan

La caduta di El Fasher, dopo un assedio lungo diciotto mesi, riallinea il conflitto verso una geografia politica bicefala, con le Rsf che consolidano l’Ovest e le Saf che tengono le proprie linee tra il centro e l’Est, mentre Kordofan diventa la vera posta in gioco per le linee di comunicazione e i rifornimenti tra Khartoum e il Darfur. Gli ultimi sviluppi del conflitto in Sudan

Il Sudan è entrato nella fase più critica della sua disgregazione. Dopo oltre due anni di guerra tra le Forze Armate Sudanesi (Saf) del generale Abdel Fattah al-Burhan e le Rapid Support Forces (Rsf) del generale Mohamed Hamdan Dagalo, detto Hemedti, il conflitto ha smesso di essere uno scontro per il potere a Khartoum ed è diventato una guerra di ridisegno territoriale. La caduta di El Fasher, l’ultima roccaforte governativa in Darfur, dopo diciotto mesi di assedio, ha sancito la vittoria tattica delle Rsf e aperto la prospettiva di una partizione de facto del Paese tra un Sudan occidentale paramilitare e un Sudan orientale a controllo militare.

Le conseguenze umanitarie sono catastrofiche: secondo Onu, Acled e International Rescue Committee, oltre dodici milioni di sfollati, fino a centocinquantamila morti e città devastate da bombardamenti e assedi prolungati. Le inchieste di Human Rights Watch e dello Yale Humanitarian Research Lab documentano esecuzioni sommarie, stupri, rastrellamenti e deportazioni su base etnica, soprattutto contro le comunità non arabe del Darfur. Modus operandi che richiama quello delle milizie Janjawid degli anni Duemila.

Sul piano geopolitico, la guerra è entrata in una dimensione di una proxy war a bassa coesione. L’Egitto e la Turchia appoggiano la Saf, gli Emirati Arabi Uniti, per via diretta e attraverso la Libia di Khalifa Haftar, sostengono le Rsf, mentre l’Arabia Saudita tenta di mantenere un equilibrio fragile per proteggere i propri interessi sul Mar Rosso. Il formato diplomatico del Quad (Usa, Egitto, Arabia Saudita, Eau), pur concepito per una tregua umanitaria, si è poi dimostrato incapace di incidere sulle dinamiche del terreno, confermando la crisi di influenza occidentale nel Corno d’Africa.

La roccaforte del Darfur 

La caduta di El Fasher, dopo un assedio lungo diciotto mesi, riallinea il conflitto verso una geografia politica bicefala, con le Rsf che consolidano l’Ovest e le Saf che tengono le proprie linee tra il centro e l’Est, mentre Kordofan diventa la vera posta in gioco per le linee di comunicazione e i rifornimenti tra Khartoum e il Darfur. La sequenza degli eventi, dalla presa del quartier generale della Sesta fanteria, alla resa dei presidi residui ed il collasso dei corridoi urbani, evidenzia un punto di svolta per lo scenario. Chi detiene El Fasher spezza l’ultimo argine dell’esercito regolare in Darfur e libera forze per l’interdizione a est lungo gli assi di Kordofan.

Le verifiche Osint e le immagini satellitari pubblicamente consultabili mostrano chiaramente cluster compatibili con corpi, decolorazioni del terreno coerenti con spargimenti ematici e un pattern operativo di incursioni porta a porta (door to door clearance) in aree civili, inclusi il Saudi Hospital e il Children’s Hospital. Parallelamente, testimonianze raccolte da media internazionali indicano esecuzioni di uomini disarmati e rastrellamenti con connotazione etnica, con migliaia di civili che si riversano verso Tawila. È un modus operandi che non “segue” la battaglia, bensì la precede, l’accompagna e la capitalizza, producendo spostamenti di popolazione funzionali al controllo territoriale.

Il dato numerico è già eloquente: l’Acled censisce tra il 15 aprile 2023 e il 24 ottobre 2025 quasi quattrocento eventi di violenza contro civili nell’area di El Fasher, oltre la metà concentrati nell’anno in corso, per più di 1.400 morti segnalate. La strategia di assedio, con berm di sabbia per chiudere la città, fuoco sui varchi di fuga, saturazione dei presidi sanitari, si collega ad una logica di deterritorializzazione parossistica delle comunità percepite come ostili.

Identità assassine

Dentro questo schema, la dimensione identitaria fa da moltiplicatore di violenza. La narrativa Rsf ha puntato da tempo le comunità non arabe del Darfur, e in primis i gruppi zaghawa, accusate di offrire retroterra umano e informativo alle Saf e alle Darfur Joint Forces.

L’effetto prodotto, sotto la spinta di milizie eterogenee e catene di comando decentralizzate, è quello di una violenza che alterna disciplina di scopo e vendetta locale, con episodi ripresi e diffusi dagli stessi autori come strumento di terrore e conquista simbolica. Accanto alle narrazioni identitarie, quelle mediatiche,  dai feed di TikTok ai comunicati di rivendicazione, tutti tasselli della stessa architettura coercitiva.

Se la caduta di El Fasher è l’evento, la traiettoria punta dritta fino a Kordofan, snodo logistico fondamentale per la prosecuzione del conflitto. Chi controlla i nodi di al-Obeid e la viabilità che dal centro, può spingere verso Ovest e determinare il ciclo di rifornimenti, le rotazioni delle unità di combattimento e la possibilità di controllare politicamente e territorialmente la pressione sul Darfur.

Interessi e interessati

Il “Quad” Egitto-Arabia Saudita-Eau-Usa ha formalizzato a metà settembre una road map che dovrebbe, sulla carta, sancire una tregua umanitaria, seguita da un cessate il fuoco e da un conseguente processo di stabilizzazione politica a guida sudanese. Ma la diplomazia non sembra star trovando terreno fertile, apparendo più elemento di rumore che di efficacia effettiva.

Sul versante europeo ed italiano, la variabile non è solo umanitaria ma geostrategica: Port Sudan è una cerniera sul Mar Rosso davanti a Jeddah, connessa a Suez da una rotta già stressata da minacce ed attacchi asimmetrici. La stabilità di quella sponda condiziona assicurazioni marittime, tempi di transito e costi per il naturale andamento dell’economia internazionale e vulnerabilità di cavi e infrastrutture.

A terra, la combinazione di oro, gomma arabica e filiere agricole si intreccia con attori armati, agganciando il quadrante del Sahel a Est.

Il rischio è l’estensione del pattern genocidario su scala statale. Se anche Kordofan dovesse scivolare nello stesso schema, si verificherebbero episodi di pulizia etnica come strumento di governo e di amministrazione parallela, rendendo l’ipotesi della ricomposizione statuale come un mero orizzonte teorico, con la possibile espansione a macchia di vettori migratori e di destabilizzazione verso l’Africa nordorientale, il Mar Rosso e, per il medio-lungo periodo, anche il quadrante euromediterraneo.


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