Il confine tra narrazione e realtà, nel dibattito politico, è sempre più labile. Il clima si esacerba ancora di più durante la campagna elettorale. Il caso Garofani è un esempio plastico di questa dinamica. E per le regionali ci sono due partite (quasi) chiuse e una tutta da giocare: la Campania. Colloquio con il politologo dell’Università di Perugia, Roberto Segatori
Forse è il clima da campagna elettorale a esacerbare gli animi. O forse è una china irreversibile del dibattito pubblico. Veneto, Campania e Puglia sono pronte per il voto, ma gli animi si sono accesi a tutte le latitudini. Sullo sfondo la vicenda Garofani, il rischio – sventato – di uno scontro istituzionale più acceso – che “rivela quanto la narrazione politica stia divorando la realtà”. Secondo il politologo dell’università di Perugia Roberto Segatori, siamo davanti a “un grande cortocircuito che riguarda anche il modo in cui in questi giorni i partiti stanno affrontando la discussione sugli emendamenti alla Manovra”.
Professor Segatori, partiamo da un quadro generale: che clima vede attorno alle Regionali?
Il clima è quello di una campagna elettorale anticipata e profondamente distorta. Noto una sproporzione evidente tra l’analisi della realtà – un Paese in difficoltà economica, con una crescita debole e fratture territoriali persistenti – e la narrazione che i partiti stanno costruendo. È una narrazione propagandistica, sguaiata, che serve a compensare le debolezze. Lo abbiamo visto anche nella vicenda Garofani. Questo meccanismo sta condizionando anche le Regionali.
Entriamo nelle dinamiche territoriali. Perché dice che gli emendamenti della finanziaria stanno diventando strumenti di propaganda?
Sta accadendo esattamente questo. La maggioranza utilizza la discussione di bilancio per lanciare segnali precisi alle regioni del Sud, soprattutto Campania e Puglia. Il messaggio è chiaro: “Ci stiamo occupando di voi”. Gli emendamenti su condono, agevolazioni, misure mirate non servono solo alla manovra, servono a fare ammiccamenti elettorali. Al contrario, sul Veneto la maggioranza incentiva la narrazione dell’autonomia, con Calderoli che interviene per rassicurare il Nord. È la prova che il Parlamento viene piegato a esigenze di campagna.
Partiamo dal Veneto: vede una partita già chiusa?
In Veneto Stefani e il centrodestra sono favoriti. Il Nord Est rimane legato a istanze identitarie e autonomiste che il centrodestra ha saputo mantenere vive. Ma il tema più interessante non è la vittoria: è ciò che accadrà dentro la Lega dopo. Perché sui territori sta emergendo un problema serio con Salvini. Giorgetti e Zaia non hanno aperto una guerra interna, ma le crepe ci sono. E un altro successo al Nord potrebbe riaccendere quel dibattito.
La Campania invece sembra la Regione più incerta. È così?
La vera partita si gioca in Campania. Cirielli è un candidato forte, radicato. Ma anche Fico ha diverse frecce al suo arco: è tornato al centro del quadro politico regionale e nazionale. E poi c’è la variabile De Luca, che continua a pesare molto. In Campania il centrosinistra ha una struttura radicata, una macchina elettorale che conosce bene il territorio. Sarà uno scontro durissimo, molto più complesso di quanto sembri.
Più a Sud, la Puglia con Decaro forte di una legittimazione – alle Europee – che lascia pochi spazi al dubbio.
Decaro è fortissimo, con un radicamento straordinario. Lobuono è un buon imprenditore, un volto credibile, ma con una visibilità molto più limitata. In Puglia il margine appare più chiaro: il centrosinistra parte da una posizione molto più solida.
Torniamo alla dimensione nazionale: in che modo il caso Garofani influenza, se influenza, la lettura delle Regionali?
Non influenza i territori, ma influenza la narrazione. E oggi la narrazione conta moltissimo. Nel caso Garofani si è persa completamente la misura. È verosimile che in una cena tra amici qualcuno abbia fatto una battuta e Garofani abbia risposto. Ma l’elemento politico, paradossalmente, era contro la Schlein: una riflessione sulla debolezza della sinistra e sulla sua incapacità di scalfire Meloni. La reazione di Fratelli d’Italia è stata esagerata e vittimistica. Serve alla maggioranza per nutrire l’idea di un potere forte ostile. Ed è questa distorsione che pesa sulla campagna: quando la narrazione diventa così tossica, inquina tutto il confronto.
In questo clima come legge l’incontro Meloni–Mattarella?
È stata una mossa intelligente di Meloni. È servita, soprattutto a lei per dare un segnale all’elettorato che, storicamente, è dalla parte di Mattarella: non c’è alcuna contrapposizione con il Quirinale. Ma la premier corre due rischi enormi: personalizzare il referendum sulla magistratura più che sulla Giustizia, e se andasse come con Renzi sarebbe una sconfitta devastante; oppure dare l’impressione di uno scontro con il Colle. Sarebbe un errore strategico gravissimo.
Le Regionali possono cambiare gli equilibri nazionali?
Possono farlo se confermano il trend che si intravede: un centrodestra rassicurato al Nord ma più fragile al Sud, un’opposizione competitiva ma non unita, e una narrazione che cerca costantemente nemici per compensare le proprie debolezze. È un Paese che vota in ordine sparso, e le Regionali lo renderanno ancora più evidente.
















