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La vocazione universale di Roma nel viaggio apostolico di Leone XIV in Libano

Il viaggio di papa Leone XIV in Libano, il cui motto “Beati gli operatori di pace” contiene il messaggio centrale della visita: “Confortare il popolo libanese incoraggiando il dialogo, la riconciliazione e l’armonia tra tutte le comunità”, potrà leggersi anche come un invito per i romani a riscoprire la cifra distintiva della propria città, l’universalità, ossia che in questa capitale “non si sta senza avere dei propositi cosmopoliti”

Il primo viaggio apostolico di papa Leone XIV si snoderà, dal 27 novembre al 2 dicembre 2025, tra la Turchia e il Libano. Si intende qui soffermare l’attenzione sulla seconda tappa, ovvero su quello che “è qualcosa di più di un Paese: è un messaggio di libertà e un esempio di pluralismo per l’Oriente come per l’Occidente” (san Giovanni Paolo II). Senza però far cenno ai tempi di grande difficoltà che vive il Paese dei Cedri, peraltro efficacemente restituiti (a partire da un’angolazione originale) dal Padiglione nazionale alla Biennale Architettura 2025 di Venezia che denuncia – chiamando all’azione contro – gli “atti di ecocidio (che) hanno distrutto intere comunità, sradicandole e trasformando paesaggi un tempo rigogliosi in lande desolate e inabitabili”.

Dunque, non si offre alcuna analisi o interpretazione delle vecchie e nuove crisi che rischiano di mettere in pericolo il “famoso equilibrio libanese” (Benedetto XVI). Piuttosto, ci si limita a mettere in luce la vocazione universale di Roma, attraverso l’eredità spirituale della Chiesa Maronita – Chiesa sui iuris Patriarcale sempre in comunione con la Chiesa Cattolica – che continua ad essere presente (ad innervare) nella società (la storia) libanese, conferma di avere un “largo campo da riempire” (Card. Boutros Raï). Facendo riferimento in particolare al Pontificio Collegio Maronita in Urbe che, fondato nel 1584 (con la Bolla Humana sic ferunt) per volontà di Papa Gregorio XIII, ha sede nel cuore della capitale d’Italia, con annessa chiesa intitolata a San Marone. La preziosa collezione di volumi, che annoverava tra gli altri importanti testi liturgici pubblicati dall’Istituto stesso, è stata, in gran parte, trasferita nel XIX secolo alla Vaticana, per quanto se ne conservi ancora traccia nel patrimonio librario della biblioteca di via di Porta Pinciana.

Si tratta di un ente ecclesiale a scopo educativo e formativo che, collegato e dipendente dalla Procura del Patriarcato antiocheno maronita, e sotto la giurisdizione diretta del Patriarca maronita e la tutela della Sede Apostolica, dopo aver vissuto un alternarsi di chiusure e riaperture, è stato ampiamente ristrutturato e inaugurato di nuovo nel febbraio 2000. Per due secoli il Collegio, che ha accolto “chierici maroniti mandati a Roma dal Patriarca per studiare negli atenei romani in preparazione al sacerdozio, è stato affidato alla Compagnia di Gesù. Innumerevoli e illustri sono gli studenti – tra i quali, “i più famosi (…) il futuro Patriarca maronita (e Beato) Stéphane Douaihi e il grande studioso Joseph S. Assemani, Primo Custode della Biblioteca Vaticana, celebre orientalista e canonista” (San Giovanni Paolo II) – che si sono formati in tale luogo privilegiato di incontro e dialogo tra culture e religioni, anche politico, che è al centro di un “arcipelago maronita” altrettanto significativo e storicamente radicato nel territorio romano, in cui è cresciuta negli anni la devozione per San Charbel, venerato in Libano da cristiani e musulmani e sulla cui tomba (a Annaya) pregherà Leone XIV. A quanti siano interessati ad approfondire l’attualità e il ruolo strategico di questa “palestra romana” (papa Francesco), è sufficiente ricordare che l’identità del Libano è stata plasmata pure dai maroniti, così come richiamare che, secondo il Patto nazionale siglato nel 1943, a questi viene garantita la Presidenza della Repubblica.

Insomma, il viaggio di papa Leone XIV in Libano, il cui motto “Beati gli operatori di pace” contiene il messaggio centrale della visita: “Confortare il popolo libanese incoraggiando il dialogo, la riconciliazione e l’armonia tra tutte le comunità”, potrà leggersi anche come un invito per i romani a riscoprire la cifra distintiva della propria città, l’universalità, ossia che in questa capitale “non si sta senza avere dei propositi cosmopoliti” (T. Mommsen), “ognuno (degli stranieri) vi sta come a casa propria” (M. de Montaigne). Lo possono testimoniare i tanti allievi libanesi che, pure in tempi più recenti, hanno frequentato il Collegio per fare poi ritorno nella terra d’origine impegnandosi in numerose attività di carattere apostolico, educativo, culturale o caritativo, seguendo le orme, tra quelle dei molti “eroi” libanesi di santità, del Venerabile Servo di Dio Elia Hoyek, a cui Papa Leone XIII affidò la direzione dell’Istituto e che fu eletto (dai Vescovi maroniti) Patriarca di Antiochia e di tutto l’Oriente dei Maroniti, che, per il suo impegno in favore della nazione e per la grande carità pastorale, godette di affetto e stima tanto da essere chiamato “Padre del Grande Libano”.


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