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Come cresce il terrorismo islamico a Parigi

“Cherchez la femme”, dicevano i francesi di una volta, quando dovevano scoprire i responsabili di fatti misteriosi. Dopo la tragedia parigina, le autorità francesi forse sono impegnate su un altro fronte, quello del “cherchez les armes”. Armi ed esplosivi hanno girato per Parigi come coni di gelato. Dalla produzione al consumo, la loro logistica sembra essere stata uno scherzo. I Servizi francesi hanno sotto sorveglianza circa 1700 persone, in odore flagrante di jahadismo. Altre 2mila sono tenute sotto controllo dalla Sicurezza. Quindi, a quanto pare, gli “uomini” dovrebbero essere stati marcati stretti. Ma non lo sono stati. Sbavature dei Servizi (tra i migliori del mondo) e della Polizia sul territorio? Col tempo lo sapremo. A peggiorare il quadro delle responsabilità, c’è questa apparente leggerezza nel controllo delle armi, degli esplosivi e dei loro movimenti.

Si dice che le armi si vendono e si comprano con facilità. E probabilmente si portano in borse e valigie con altrettanta facilità. Finché è e sarà così, ogni predica antiterrorista appare velleitaria e di poco senso. La Francia, Stato laico, multiculturale e multireligioso, sta diventando una polveriera. Si porta dietro un passato coloniale, con i nipoti e pronipoti della gente colonizzata e quindi francesi in gran parte di origini islamiche, pronti a riscattare la loro identità e le loro origini: francesi sì, ma antifrancesi, per “vendicare” i tempi delle colonie, di cui i loro avi furono “vittime”. Nelle periferie delle grandi città, molti giovani musulmani senza lavoro e senza identità si sono lasciati affascinare da un sogno “divino” (e probabilmente anche da risorse terrene, in genere petrolifere o del malaffare). Dalla miseria delle banlieue al martirio per Allah e per il suo paradiso predicato in terra, il passo può essere breve; lasciare i disastri di una vita fatta di nulla, scatenandosi contro i responsabili della loro vita, povera e anonima, e della loro storia (dunque contro i francesi, ma anche tutti gli occidentali), per raggiungere il “regno della felicità”.

Ovviamente i musulmani francesi, con identità di lavoro e di “integrazione”, sostengono che la religione non c’entra nulla con la violenza di questi giovani fanatici, al soldo dell’Isis e cioè di intrighi internazionali a danno degli arabi (in cui cercano così sempre una responsabilità di Israele, a prescindere). Tutto questo per dire che l’ambiente in cui i terroristi dell’Isis si muovono in Francia è vasto e intricato, come una casbah dove entrare è facile, ma capire e saperne uscire è assai complicato. Sicuramente questi giovani pronti alla guerra e al martirio hanno coperture logistiche e sociali, peraltro abbastanza note. Ma lo Stato di diritto mal si rapporta con gruppi più o meno grandi di “guerrieri” e di gente che li copre. Talvolta c’è anche chi usa lo stato di diritto per corteggiare i “voti” di quel mondo ostile sì, ma che in ogni modo ha un suo peso sui risultati elettorali.

Ora le autorità francesi sembrano decise ad entrare in guerra contro questo sistema sociale e culturale, la cui punta è rappresentata dai giovani terroristi “martiri”. E la prima cosa da fare sembra quella di seguire la strada delle armi e dei soldi, che in un mondo globalizzato sembra anche quella più semplice. Sembra; perché c’è sempre qualcuno che la rende più complicata, per convenienze e per potere.

Le autorità di oggi, ma anche quelle di ieri, hanno pesanti responsabilità sulla gestione dei problemi esplosi con il terrorismo di Parigi. Ci sono alcune voci che possono gridare: “Ce lo avevo detto e non da ora!”. Intellettuali, scrittori, giornalisti, ma anche politici.


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