Idee sulla previdenza (con un intervento sulle pensioni “d’oro”). Bacchettate al piano Juncker (un po’ fiacco seppure strombazzato). E tesi non troppo rigoriste, anzi, seppure pro privatizzazioni, in materia di politica economica. Ecco alcune delle tesi che l’economista Tommaso Nannicini ha snocciolato in interventi, interviste e paper prima di essere nominato sottosegretario alla presidenza del Consiglio per diventare di fatto capo della “regia economica” a Palazzo Chigi, come ha scritto il Sole 24 Ore. Ma vediamo in sintesi studi, passioni e proposte dell’economista.
TRA ACCADEMIA E POLITICA
Accademico bocconiano, il neo sottosegretario alla presidenza del Consiglio è nato a Montevarchi (Arezzo) nel 1973 e ha respirato politica fin dalla gioventù: “Nannicini ha iniziato a interessarsi di politica «folgorato» da Giuliano Amato, candidato in Toscana ai tempi del suo primo voto nel 1992”, si legge in un articolo di Italia Oggi scritto nel 2011. Folgorazione giunta – aggiungeva il quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi – “dopo un periodo nell’associazionismo nato dalle ceneri della diaspora Psi”. Ma la vicinanza al premier non è solo geografica. Tanto che Italia annovera, nello stesso articolo, Nannicini tra gli ispiratori delle idee economiche dell’allora sindaco Matteo Renzi. Il suo incarico come consulente a Palazzo Chigi risale invece al 2014, quando Renzi lo volle nello squadrone degli economisti insieme a Marco Simoni, Yoram Gutgeld e Filippo Taddei. Il tecnico Nannicini ha avuto sempre un cuore politico: “Il prof renziano ha fatto politica nei Ds (sull’onda del progetto Amato e della mozione Morando al congresso di Pesaro del 2001). Durante il dottorato a Fiesole, all’Istituto universitario europeo, è stato direttore nazionale dell’associazione liberal Libertà Eguale, responsabile economia dei Ds toscani, membro della presidenza della commissione nazionale Progetto e del consiglio nazionale dei Ds”.
TRA DEFICIT E METADONE
“Abbiamo perso la strada della crescita”, ha commentato Nannicini nel 2014 in una conversazione con Formiche.net nei giorni che lo davano in arrivo a Palazzo Chigi fra i nuovi consiglieri del premier Matteo Renzi, suggerendo una via d’uscita: “Molti dei nostri problemi strutturali nascono proprio dalla vecchia abitudine di fare spesa distributiva, nascondendola prima con l’inflazione e poi lasciando esplodere il debito pubblico. Non funziona. Non si crea crescita con la droga della spesa in disavanzo. Oggi, abbiamo bisogno di un po’ di metadone: una flessibilità che dia ossigeno a imprese e famiglie, anche per far passare le riforme strutturali su lavoro, burocrazia, giustizia, che non sono a costo zero. Che vanno a toccare diritti acquisiti e possono avere un effetto recessivo nel breve periodo, oltre a infastidire qualche lobby”, ha spiegato l’economista.
Che fare allora? “Se per qualche anno si riducono le tasse o si aumentano gli ammortizzatori sociali, senza ossessionarci sui vincoli di bilancio e coprendone i costi totali solo in un secondo momento attraverso una revisione della spesa, questo può essere premiante. È il nostro metadone”, ha detto Nannicini.
IL CONTRIBUTO DELLE PENSIONI D’ORO
Insieme al collega della Bocconi Tito Boeri, Nannicini a settembre del 2013 è stato ideatore di una proposta lanciata sulle pagine del sito web LaVoce.info per tagliare le cosiddette pensioni d’oro.
“Il gettito che possiamo attenderci da interventi di questo tipo è limitato. Ma si tratterebbe comunque di un flusso annuo destinato ad accompagnarci per svariati decenni (finché lo stock delle pensioni in essere non verrà interamente erogato con il sistema contributivo). E, soprattutto, persistono le ragioni di equità (attuariale e tra generazioni) a favore di un contributo selettivo, visto che il flusso annuo di risorse potrebbe essere destinato subito alla tutela di generazioni che sono state penalizzate dal nostro sistema di welfare”, hanno scritto i due economisti su laVoce.info.
La proposta è quella di un “contributo di equità sul reddito totale da pensione che, fatte salve le prestazioni assistenziali, istituisca un prelievo annuo su chi è andato in pensione con il metodo retributivo (anche parzialmente con il pro rata)”, si legge su LaVoce.info.
Ecco il funzionamento: “Il prelievo dovrebbe scattare soltanto al di sopra di una doppia soglia: 1) per redditi sopra un certo ammontare (per esempio, sette volte il trattamento minimo, 3.367 euro lordi); 2) per assegni pensionistici che hanno rendimenti sensibilmente più alti rispetto a quelli che i contributi versati avrebbero prodotto con il metodo contributivo”.
Boeri e Nannicini hanno sottolineato che “Non stiamo parlando di un nuovo intervento indiscriminato sull’universo dei pensionati, ma di un prelievo selettivo che riguarderebbe 501.949 persone (il 3 per cento dei pensionati). Anche se si facesse scattare il contributo da un reddito pari a sei volte il trattamento minimo (2.886 euro lordi), la platea dei potenziali destinatari sarebbe solo il 5 per cento dei pensionati (800.650 persone)”.
A titolo d’esempio, i due economisti nel 2013 hanno considerato tre scenari possibili in seguito all’introduzione di un contributo di questo tipo: “Il primo scenario chiede “poco a tutti”: 2 per cento per redditi sopra sei volte il minimo (2.886 euro lordi); 5 per cento per redditi sopra ventuno volte il minimo (10.101 euro lordi). Il contributo richiesto oscillerebbe da 67 euro mensili per il primo scaglione coinvolto (con un reddito medio intorno ai 3.300 euro) a 1.646 euro mensili per l’ultimo scaglione (33mila euro mensili di reddito). Il gettito atteso sarebbe pari a 922 milioni all’anno. Il secondo scenario chiede “molto a pochi”: 1 per cento sopra sette volte il minimo (3.367 euro lordi); 5 per cento sopra undici volte il minimo (5.291 euro lordi); 10 per cento sopra ventuno volte il minimo (10.101 euro lordi). In questo caso, il contributo varierebbe da 39 euro al mese (per redditi intorno ai 3.800) a 3.292 euro (per redditi intorno ai 33mila al mese). Il gettito atteso sarebbe pari a 887 milioni. Il terzo scenario si basa su un’aliquota del prelievo fortemente progressiva: 1 per cento sopra sei volte il minimo (2.886 euro lordi); 2 per cento sopra dieci volte il minimo (4.810 euro lordi); 5 per cento sopra sedici volte il minimo (7.696 euro lordi); 10 per cento sopra ventuno volte il minimo (10.101 euro lordi); 15 per cento sopra trentadue volte il minimo (15.392 euro lordi). Qui, il contributo oscillerebbe da 33 euro al mese (redditi intorno 3.300) a 4.937 (un’apparente enormità ma per redditi intorno ai 33mila euro mensili). Il gettito sarebbe 798 milioni”.
“Naturalmente, si tratta solo di esempi – hanno sottolineato Boeri e Nannicini – . L’intervento dovrebbe essere disegnato con cura per tenere conto del rapporto tra contributi versati e pensione (la seconda soglia) e per modulare il prelievo tenendo conto del carattere già progressivo della tassazione sul reddito”.
In conclusione, per i due economisti dalle simulazioni compiute a settembre del 2013 emergerebbe chiaramente che “Chiedendo un contributo non tanto “a chi ha di più” ma in primo luogo “a chi ha ricevuto di più”, la nostra proposta potrebbe aggirare anche i dubbi di costituzionalità sollevati da una recente sentenza della Corte. Insomma: un contributo non per cassa, ma per equità”.
PIANO JUNCKER
Nell’estate del 2014 ha commentato così su twitter le risorse provenienti dal piano Juncker:
Tutti parlano dei 300 mld del piano Juncker come se fossero fondi Ue ma il piano parla di investimenti pubbl e privati (senza share) #3carte
— Tommaso Nannicini (@TNannicini) 29 Agosto 2014
Concetto ribadito anche su QN Quotidiano nazionale: “Il piano Juncker, tuttavia, ha molti limiti. Si sbandierano 315 miliardi di investimenti, ma soltanto 21 arrivano da risorse comunitarie (16 dal bilancio dell’Unione e 5 dalla Banca europea per gli investimenti). Il resto dovrebbe arrivare da risorse private, in base all’assunzione del tutto irrealistica che ogni miliardo di spesa del fondo attivi investimenti privati per altri 15. Insomma: su riforme strutturali e investimenti si sono compiuti due passi nella direzione giusta. Due passi importanti e da non sottovalutare. Ma ancora troppo corti”.
ALLARME DEBITO
Nannicini si è anche occupato con accenti preoccupati della mole del debito pubblico: “Anche il Fondo Monetario Internazionale ha invitato l’Europa a non fossilizzarsi troppo sul deficit, senza dimenticarsi però del problema del debito, che può creare instabilità finanziaria e drenare risorse pubbliche sempre più scarse. Se l’inflazione europea fosse davvero al livello programmato del 2 percento e se la crescita del Pil reale ripartisse anche lentamente, gli obiettivi del Fiscal Compact sarebbero a portata di mano senza grandi sforzi anche per il nostro Paese”, ha commentato su L’Unità a giugno 2014. Il segreto per Nannicini sta quindi “nel capire se la politica monetaria europea ci verrà incontro. E se le mosse del governo sosterranno un cambio delle aspettative non solo degli elettori (come si è visto alleeuropee) ma anche di imprenditori e consumatori. Se queste leve non risulteranno sufficienti, sarà indispensabile procedere spediti sulla strada di privatizzazioni i cui ricavi servano esclusivamente a ridurre lo stock del debito, come il governo ha in ogni caso già annunciato di voler fare”.
L’ESEMPIO BRASILIANO
Per cercare di porre rimedio ai casi di corruzione che hanno coinvolto l’Italia, dal Mose di Venezia, all’Expo di Milano, fino ai rimborsi gonfiati nei consigli regionali e agli intrecci tra appalti e politica locale, Nannicini ha suggerito di guardare al Brasile: “Il Brasile, in particolare, ha una lunga tradizione di irregolarità e corruttele nella gestione dei fondi pubblici da parte della politica locale. Nel 2003, per aggredire questo malcostume, il governo Lula ha varato un programma anticorruzione unico nel suo genere”. Ecco in cose consiste:
“Ogni mese, una “lotteria” ufficiale (a cui possono assistere giornalisti e cittadini) estrae a sorte una cinquantina di governi locali, nei quali viene subito inviata una pattuglia di ispettori selezionati nazionalmente, ben formati e pagati con un salario competitivo. Una sorta di “intoccabili” della lotta alla corruzione locale”, ha scritto il nuovo sottosegretario su Linkiesta nel giugno del 2014. “Questi ispettori passano al setaccio ogni aspetto inerente la gestione dei fondi pubblici e degli appalti a livello comunale. Non si limitano a controlli formali, ma incontrano imprese, conducono interviste, incrociano dati. E redigono un rapporto che viene inviato alla magistratura (nel caso spuntino fuori episodi con rilevanza penale) e al governo federale (perché prenda provvedimenti nei casi di mala gestione dei trasferimenti pubblici)”, ha spiegato Nannicini aggiungendo che a tale rapporto “viene data ampia pubblicità sui vecchi e sui nuovi media, mettendo i cittadini a conoscenza di irregolarità più o meno gravi”.
Ecco quindi perché in Italia secondo Nannicini dovremmo prendere spunto dal Brasile: “Prima: se non si hanno risorse sufficienti per combattere una corruzione diffusa a tutto campo, alcuni interventi selettivi ma continuativi possono funzionare lo stesso, anche grazie a un effetto deterrente su una classe politica che si vede messa sotto osservatorio da ispettori indipendenti e con pieni poteri. Secondo: informazione e trasparenza migliorano il dibattito pubblico e abituano i cittadini a “punire” col proprio voto quei politici che si sono macchiati di gravi irregolarità”.