Ormai la corsa per le amministrative sta entrando nel vivo. Di cose ne succederanno molte nelle prossime settimane, anche se negli scorsi giorni alcuni nodi irrisolti sono stati finalmente sciolti. Non senza qualche incoerenza e qualche stupefacente piroetta.
Soprattutto Roma presenta il quadro politico più indicativo delle nuove alleanze e il baricentro degli equilibri che andranno via via strutturandosi a livello nazionale. Se, infatti, Milano è lo scenario più razionale, con il centrodestra tutto unito a competere con il centrosinistra e il M5S, la Capitale rivela invece le difficoltà profonde nel tenere unite in Italia compagini moderate e conservatrici tanto diverse.
Da questo punto di vista, la candidatura di Roberto Giachetti da parte del Pd si rivela efficace e coerente. È indubbiamente un uomo di esperienza che conosce forse meglio di tutti i meccanismi interni estremamente complessi dell’amministrazione capitolina. Può vantare insomma esperienza anche se non altrettanta discontinuità con il passato, un fattore questo influente in una città che soffre anni di gestione molto discutibili.
Da par suo il centrodestra, dopo vani tentativi, si presenta diviso in due blocchi: da un lato il candidato ormai unico della parte centrista, Alfio Marchini, e dall’altro Giorgia Meloni, sostenuta da Lega e Fratelli d’Italia.
La scelta di Silvio Berlusconi per il primo si è consumata dopo il clamoroso abbandono di Guido Bertolaso. Era infatti abbastanza prevedibile che il leader di FI finisse per lasciarlo cadere, ma non era così scontato che lo facesse in favore di Marchini, essendo stato in passato proprio Berlusconi a valorizzare Meloni come suo ministro.
L’opzione è avvenuta con la convinzione inespressa che valesse la pena unificare le forze di centro, non cavalcando un sicuro destino subalterno di FI alla destra. Se si tiene presente che nel pronostico la candidata del M5S, Virginia Raggi, è favorita, per raggiungere quantomeno il ballottaggio, è chiara la frizione in atto tra Berlusconi e Matteo Salvini, ma anche lo spirito accomodante e non di lotta del primo verso la sinistra.
Al di là delle diverse e talvolta opposte valutazioni, un dato emerge su tutti. Marchini ha un peso specifico e uno specifico potenziale che gli viene dall’investitura non solo dei forzisti ma anche di tutta l’Area popolare e di alcuni personaggi storici della destra, come Gianfranco Fini e soprattutto Francesco Storace, anch’egli candidato. Viceversa però questa cordata pro Marchini costituisce anche un punto di forza per Giorgia Meloni, la quale, in qualità di unico candidato chiaramente di destra per il Campidoglio può vantare la giovane età e il fatto di non essere in continuità con nessuno, neanche con i suoi ex compagni di partito. Oltretutto il vento conservatore che si respira in tutta Europa costituisce un surplus, a condizioni date, un’attrattiva indiscutibile pure per l’elettorato romano, innervosito e spaventato da questa situazione.
A conti fatti la partita è aperta, anzi apertissima. Molte verifiche verranno fuori da questo importante appuntamento elettorale. Non soltanto la tenuta in termini di popolarità di Matteo Renzi, ma anche i pesi nella bilancia complessiva del centrodestra, evidentemente non rilevanti in un caso eccezionale come quello di Milano, ma estremamente influenti a livello nazionale.
Certo è che per un verso o per l’altro la scelta di Berlusconi è quella di mostrarsi quanto più vicino possibile a Renzi e quanto più conforme al patto europeo che tiene uniti, per logica politica prima che per il resto, i popolari ai socialisti. Mentre per Salvini e Meloni a Roma è in gioco il reale peso che un’alternativa di destra europea, basata su identità comunitaria e sicurezza, riesce ad avere nel nostro Paese.
Infatti oggi le affinità tra il centro e il centrosinistra sono maggiori ovunque rispetto a quelli tra destra e centro. Distinzioni di sostanza ideologica prima di tutto. Distinzioni di metodo. Ma anche distinzioni nel modo di concepire la democrazia: aperta, liberale e pluralista per i primi, chiusa, severa e omogenea per i secondi.
L’elemento viceversa che accomuna Meloni alla Raggi, e distingue radicalmente il M5S da tutto il centro e da tutto il centrosinistra, è la radicalità delle posizioni, unita al tentativo di tenere insieme coerenza e intransigenza, nel senso della partecipazione attiva per i grillini o della svolta reazionaria per i salviniani.
Si vedrà. Anche perché, alla fin fine, dal risultato romano capiremo in aggiunta la longevità della legislatura, la sopravvivenza del Governo e il tasso di consenso che le due alternative anti sistema riescono concretamente a mettere in campo contro l’astensione dilagante.