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Che cosa trova Carlo Calenda allo Sviluppo economico

CARLO CALENDA

C’è un documento – disponibile online – che consente di capire da quali risultati e da quale contesto di riferimento prenderà le mosse Carlo Calenda nella sua nuova veste di ministro dello Sviluppo economico. Un documento nel quale è indicato cosa è stato fatto dal suo predecessore Federica Guidi nei due anni al governo, tra il febbraio 2014 e il febbraio 2016. Strumento utile per capire – ovviamente – anche quali siano adesso le priorità dell’ex ambasciatore italiano presso l’Unione europea, che ha giurato ieri al Quirinale nelle mani del Capo dello Stato Sergio Mattarella.

IL DDL CONCORRENZA: OPPORTUNITA’ E PROBLEMI

Uno dei temi fondamentali che Calenda dovrà affrontare da subito è rappresentato dal disegno di legge sulla concorrenza, approvato in prima lettura dalla Camera lo scorso ottobre e oggi di fatto incagliato in commissione al Senato, tra polemiche, veti incrociati e proteste più o meno dirette da parte di alcune delle categorie interessate dal provvedimento. Una misura che però – stando almeno ai dati forniti nel documento – dovrebbe essere ripresa il prima possibile in una direzione di crescita e sviluppo economico. Secondo il dossier, infatti, l’approvazione del ddl concorrenza avrebbe un impatto rilevante sul prodotto interno lordo, con un aumento dello 0,4% nel breve periodo e del 1,2% nel lungo. Inoltre, determinerebbe altre due conseguenze positive per il nostro Paese. La prima è “una miglior valutazione da parte delle principali agenzie di rating“, con riferimento al quale basta considerare che attualmente “la valutazione di S&P è BBB, un solo livello al di sopra dei titoli spazzatura (c.d. junk)“. Circostanza che avrebbe inoltre l’indiscutibile pregio “di far diminuire il costo” del nostro debito pubblico. Altro effetto benefico è poi costituito dal fatto che “l’adozione della legge sul la concorrenza permetterebbe all’Italia di scalare posizioni nei ranking delle principali istituzioni internazionali“, tra cui, in particolare, la Banca Mondiale, il Fondo Monetario Internazionale e l’OCSE, fondamentale “punto di riferimento degli investitori esteri“. Ciò dunque, in parole povere, ci permetterebbe di attrarre maggiormente gli investimenti stranieri.

L’EFFICIENTAMENTO ENERGETICO

Tra i risultati rivendicati nel dossier viene menzionato quanto fatto dal punto di vista dell’efficientamento energetico. Sotto questo profilo, si sottolinea la proroga delle detrazioni fiscali al 65% “sugli interventi di efficientamento energetico degli edifici a favore di cittadini e imprese fino al 31 dicembre 2016“. Una misura definita “fondamentale nello sviluppo dell’efficienza energetica nel settore residenziale”, e utile anche per dare fiato all’edilizia, tra i comparti più rilevanti del nostro sistema economico messo però a durissima prova dalla crisi degli ultimi anni. In questo modo – è fatto presente nella relazione – si è anche generato “un risparmio di energia finale di quasi 1 milione di tonnellate equivalenti di petrolio l’anno“.

L’IMPEGNO PER LE SMART CITIES

Nell’ottica di un’impegno crescente per innovare l’Italia, un ruolo di primo piano spetta alle smart cities. Nel documento vengono descritte come “il terreno ideale per sperimentare un nuovo modello di politica industriale, che consenta di cogliere vantaggi non solo in termini di migliore qualità della vita e contesto di business, ma anche di crescita, competitività ed occupazione“. A tal proposito le risorse stanziate dal governo ammontano a 65 milioni di euro. Un primo investimento che inizialmente “sarà dedicato a promuovere 14 quartieri pilota in altrettante Città Metropolitane“.

LE CRISI AZIENDALI

Un altro dei capitoli del documento di sintesi è dedicato agli interventi messi in campo tra inizio 2014 e inizio 2016 per la risoluzione delle crisi aziendali. A tal riguardo – secondo il bilancio indicato dal ministero dello Sviluppo economico – negli ultimi due anni “sono state effettuate un totale di 792 riunioni, concernenti 340 aziende“. I tavoli che risultano attivi al primo marzo sono, invece, 148 tavoli. Tra le zone in cui si sono concentrati gli sforzi maggiori vengono citate la Campania e poi le aree di Piombino, Rieti e Anagni-Frosinone. Nel biennio – si rivendica nel dossier – “si sono chiuse positivamente 80 vertenze aziendali” e “sono stati salvati oltre ventimila posti di lavoro“.

L’ATTUAZIONE DEL PROGRAMMA

Una parte del lavoro che il ministero dello Sviluppo economico si è trovato a dover svolgere dall’insediamento del governo guidato da Matteo Renzi è consistita nell’attuazione di alcune delle misure adottate dai precedenti esecutivi. Impegno di primaria importanza perchè – recita la relazione – “l’arretrato dei provvedimenti attuativi ereditati dai governi precedenti rendeva inoperanti gran parte degli interventi contenuti in disposizioni legislative entrate in vigore nel periodo 2011/2014“.  A tal proposito, nel dossier si afferma come “il tasso di attuazione del pregresso sia salito dal 51 al 81%“.

IL MISE E LA SPENDING REVIEW

Ultimo aspetto –  ma non in ordine di importanza – è rappresentato dalla revisione e razionalizzazione delle spese del ministero, definite un “obiettivo prioritario“. Diverse le direttrice di intervento seguite a questo proposito. Innanzitutto, la riduzione degli incarichi dirigenziali che sono diminuit del 30%. E, ancora, la riduzione degli stipendi, tagliati anch’essi del 30%. Nello specifico il risparmio è stato di 2,7 milioni di euro per i dirigenti e di 3,5 milioni per il personale delle cosiddette aree funzionali. Altri 3,2 milioni sono stati risparmiati dalla spesa sostenuta in passato per la gestione degli immobili, mentre 400.000 euro dalla razionalizzazione e dal taglio delle spese di telefonia. Infine, nel documento si fa notare come il governo abbia imposto la riduzione degli uffici di diretta collaborazione del ministro, quelli – per intenderci – di carattere prettamente politico. Rispetto all’esecutivo di Mario Monti – in cui il ministro dello Sviluppo economico era Corrado Passera – la riduzione è stata del 59%. Rispetto invece al governo di Enrico Letta – quando a guidare il Mise era Flavio Zanonato – il taglio, secondo quanto è scritto nel documento, si è attestato al 57%.


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