Il cosiddetto centrodestra vuole rinnovarsi partendo da Stefano Parisi, nelle ultime elezioni comunali a Milano candidato sindaco, perdente. Non si capisce per fare che cosa, visto che mancano i fondamentali per essere una nuova entità politica, valida sintesi per attrarre potenziali aderenti. E poi Parisi non pare essere in possesso di un curriculum politico caratterizzante, come uomo delle istituzioni va benissimo, ma come leader di partito non mi sembra proprio avere i numeri richiesti.
Sarebbe il caso di smetterla con manager, capi-aziende, banchieri catapultati in politica all’improvviso e senza adeguata formazione. E poi questo nuovo ipotetico centrodestra non ha una cultura politica, manca di un programma, non ha una linea politica, non è chiara l’organizzazione immaginata, quindi? Già sostenere che si vuole ricostruire il centrodestra è una banalità, perché si ripete l’ipocrisia italiota di disconoscere i partiti storici.
Prassi avviata dopo i referendum elettorali guidati da Mario Segni. Poiché bisognava cancellare, per l’interessato e ignobile disegno, gli anni di governo dal 1948 al 1993, la prima azione da compiere era mettere fuori gioco i partiti del passato, e consentire agli ex-MSI e agli ex-PCI, esclusi fino ad allora, di entrare a far parte del nuovo assetto politico di governo. Si decise quindi, approvata la legge elettorale maggioritaria, di dar vita ad anonimi schieramenti definiti centrodestra e centrosinistra. E fu il bipolarismo, altra invenzione dello stupidario politico post-1993, peculiare del campionario dell’ultimo ventennio.
L’esperienza vissuta fino ad oggi non ha prodotto mirabilie, basta esaminare nel dettaglio i negativi indicatori socio-economici per rendersene conto, non a caso siamo sempre sul filo del rasoio da anni. Allora che vuol dire: vogliamo ricostruire il centrodestra? Niente e tutto! Sarebbe opportuno, invece, fermarsi un momento e riflettere per raccogliere le energie e dedicarsi alla costruzione di un soggetto politico, dove possono trovare accoglienza laici-liberali e riformisti.
Partendo dalla magmatica realtà italiana ed europea e guardando alla cultura liberal-riformista, si può tentare di avviare un nuovo processo che porti alla definizione di un programma politico solido, da sottoporre all’approvazione di simpatizzanti ed elettori moderati. Un processo simile dovrebbe riguardare il mondo cattolico che ha come stella polare il paradigma centrista degasperiano ed è lontano (le astensioni ne sono evidente prova) da rottamazioni, superficialità e parole magiche.
Il percorso politico per costruire un partito parte dal basso e non viceversa, se si ha l’intenzione di lavorare a una democrazia partecipata e di popolo, se invece si vuole continuare con l’esperienza “giolittiana” della democrazia borghese si possono rispolverare e riaprire gli attuali club e circoli, che verrebbero coordinati a livello nazionale da Stefano Parisi.