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Cosa penso delle parole di Renzi e Boschi sul Sì al referendum

MATTEO RENZI

Il presidente del consiglio ha manifestato pubblicamente rammarico, recitando il mea culpa, per aver personalizzato l’esito del referendum sulle riforme costituzionali. Campa cavallo.

Le modifiche su cui in astratto si potrebbe anche essere d’accordo, sempre che siano coerenti con l’intero impianto del 1948, e di facile comprensione per i cittadini italiani possono ottenere adeguata attenzione. Non lo stesso può dirsi degli attuali mutamenti costituzionali che saranno sottoposti al giudizio degli elettori in autunno.

Ragione semplicissima: i protagonisti della riforma della Carta non sono in grado, essi per primi, di spiegare ai cittadini italiani, in maniera convinta, la portata e i vantaggi che ne deriverebbero applicando le nuove norme, motivo per il quale viene istintivo manifestare dissenso nei confronti del disegno riformatore in questione. Non si può genericamente sostenere che le leggi si approveranno rapidamente e le modifiche serviranno a rendere l’Italia più moderna. Né può essere condiviso l’atteggiamento del capo del governo che esponendosi con affermazioni acrobatiche, cerca di indurre la gente a votare sì alle nuove regole costituzionali.

È da censurare senza ombra di dubbio, perché non si può, urbi et orbi, annunciare che se passano le riforme da lui volute si risparmieranno cinquecento milioni di €, che verranno utilizzati successivamente a favore dei poveri. Un invito ai diseredati, quindi, a votare sì per ottenere qualche piccola mancia. Subordinare le attenzioni per i poveri ai destini del referendum è paradossale e ingiusto. E utilizzo con tanta attenzione simili termini, ne potrei usare altri più significativi. Il capo dell’esecutivo forse non sa cosa dice l’ Art. 3 della Costituzione:

Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

La povertà deve essere percorso qualificante di un programma di governo e non considerata come merce di scambio elettorale.

Non è il caso di approfondire gli anatemi lanciati dal ministro per le riforme contro i fautori del No al referendum d’autunno, perché si spiegano da soli. Un ministro della Repubblica che si azzarda addirittura a scomunicare coloro che voteranno No, perché esprimerebbero un voto contro il parlamento è semplicemente ridicolo.

Sarebbe il caso di tirare fuori nuovamente i manuali di diritto, costituzionale e parlamentare.


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