Come non restare perplessi dinanzi all’ultima revisione dei dati del Pil del biennio 2014-2015 comunicata giovedì dall’Istat? E come non provare un qualche sconcerto quando se ne apprendono le dimensioni quantitative?
L’Istituto centrale di Statistica infatti nelle sue stime ha rivisto al ribasso il Pil 2015, portandone l’incremento su base annua dallo 0,8% allo 0,7%, ma ha rialzato quello del 2014 che – e questo è un dato per certi aspetti clamoroso – sarebbe aumentato dello 0,1% rispetto all’anno precedente, quando a marzo scorso sempre l’Istat lo aveva attestato ad un –0,3% rispetto al 2013. Insomma, invece di una diminuzione dello 0,3% nei confronti del 2013, il 2014 avrebbe registrato un aumento dello 0,1%, molto limitato certo, ma ben superiore di 0,4 punti percentuali rispetto alla stima precedente.
E pensare – rileggendo le cronache politiche dei primi mesi del 2015 – che le opposizioni polemizzarono aspramente sulla flessione del Pil nei primi dieci mesi del governo Renzi, affermando che la “scossa” degli 80 euro, insieme alle altre misure di politica economica allora varate, non era servita ad incrementare la ricchezza nazionale e che, pertanto, l’Esecutivo guidato dal leader fiorentino aveva mancato il primo obiettivo per il quale era nato.
Salendo da -0,3% ad un +0,1%, lo 0,4% di differenza, com’è del tutto evidente, non è affatto limitata. E a questo punto chi ci dice che il prossimo anno non sarà rivista nuovamente al rialzo la stima per lo scorso anno e quella per l’anno in corso che ha visto dispiegarsi qualche polemica di autorevoli esponenti del Governo prima che fossero divulgate le stime definitive per il primo semestre che attesterebbero una crescita zero rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso?
Indubbiamente le revisioni operate dall’Istat rispondono all’esigenza di considerare per quelle finali una più ampia serie di dati di cui non si dispone all’atto delle prime stime; e tale prassi è scientificamente doverosa e sicuramente apprezzabile, ma sta di fatto che – com’è universalmente noto – sulle stime del pil e sul suo rapporto col deficit si giocano ogni anno in questo periodo le partite più complesse fra l’Itala e la Commissione Europea ai fini della quantificazione dei margini per le misure da inserire nella legge di stabilità che da quest’anno sarà legge di bilancio.
Allora, nel rinnovare alcune domande che lo scrivente ha formulato su questa testata all’indomani delle stime preliminari del Pil per il primo semestre dell’anno in corso – riguardanti sostanzialmente le fonti e i criteri per la raccolta di una serie di dati – e che sempre il sottoscritto ha riproposto dopo le cortesi precisazioni su questa testata di Roberto Monducci, direttore della produzione statistica dell’Istat, mi chiedo e lo chiedo agli esponenti del governo se non sia giunto il momento di organizzare una grande Conferenza nazionale di servizi nella quale rendere pienamente noti alla comunità scientifica, istituzionale e alla grande opinione pubblica italiana le fonti di raccolta dei dati con cui l’Istat elabora le stime del Pil e i criteri di trattamento dei dati stessi.
Lo affermo a ragion veduta – ma non per spirito di polemica – perché per quarantennale esperienza di ricercatore ho fondati motivi per ritenere alcuni dei dati raccolti dall’Istituto abbastanza sottostimati, anche perché attinti da fonti ufficiali non sempre aggiornate.