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Londra, Isis e l’esame di coscienza di alcuni politici

E l’Italia come reagirebbe? Soprattutto, come reagirebbero il mondo politico, i deputati e i senatori che dai loro scranni dovrebbero indicare la retta via ai cittadini? Un elemento che ha immediatamente colpito subito dopo l’attentato di Londra del 22 marzo è l’assoluta compostezza dei membri del Parlamento di Westminster, tanto che 24 ore dopo l’attacco l’attività politica è ripresa con il previsto ordine del giorno e Londra è tornata al lavoro, “business as usual” come scrivono i giornali britannici.

L’Italia era già alle prese con gigantesche misure di sicurezza a Roma per l’appuntamento del 60° anniversario dell’istituzione dell’Europa unita, sabato 25 marzo, e per le manifestazioni di protesta di black bloc. Dopo quanto avvenuto a Londra, naturalmente, le misure di sicurezza sono state perfino innalzate anche se la prevenzione era già al massimo livello. Purtroppo, però, non è tanto importante l’appuntamento del 25 marzo in sé quanto la possibilità che anche l’Italia (e Roma in particolare per i tanti simboli che racchiude, a cominciare dal Vaticano) possa essere prima o poi oggetto di un attacco, come il ministero dell’Interno, l’intelligence, gli investigatori antiterrorismo spiegano con sempre maggiore frequenza.

Sperando che i timori non diventino realtà o lo diventino il più tardi possibile, qui veniamo alla reazione. Le quotidiane polemiche su come dev’essere gestita l’immigrazione, i contrasti sui decreti sicurezza e immigrazione in discussione in Parlamento, la destra che pensa a muri più o meno metaforici e la sinistra più estrema che continua a parlare di accoglienza sic et simpliciter negando l’evidenza, danno l’impressione di un Paese spaccato che non capisce che cosa sta accadendo, aumentando la confusione, lo sconcerto e l’irrigidimento dei cittadini. Cittadini che in primavera per le amministrative e l’anno prossimo per le politiche torneranno a essere elettori.

Le ultime mosse politico-mediatiche del Movimento 5 Stelle, per esempio, danno da pensare. Quando Palazzo Madama ha negato la decadenza del senatore Augusto Minzolini, il vicepresidente della Camera Luigi Di Maio ha detto che si trattava di un “atto eversivo, poi non vi lamentate della violenza” precisando successivamente di non aver aizzato il popolo alla violenza (sic!), ma semplicemente che la soluzione sta nel non votare per certi partiti. Lo stesso giorno dell’attentato di Londra l’ufficio di presidenza della Camera ha dato il via libera alla proposta del Pd di reintrodurre il contributo di solidarietà sui vitalizi dei parlamentari. Il M5s ha dapprima esposto cartelli di protesta in Aula scontrandosi con i commessi, quindi ha tentato di entrare a forza nella stanza dell’ufficio di presidenza e infine Di Maio e Alessandro Di Battista sono usciti da Montecitorio urlando che quando saranno al governo aboliranno questo “schifo di privilegio”. L’audio è più efficace dello scritto. Senza entrare nel merito della questione dei vitalizi, il punto è il modo di fare politica in una fase così pericolosa.

Luigi Ippolito, sul Corriere della Sera del 23 marzo, racconta di aver incontrato in un Westminster blindato Lord Cormack: “Certo che siamo rimasti calmi in Aula, siamo britannici, mio caro! In questo Paese non sappiamo cos’è il panico. Sono stato in Parlamento per 47 anni e ricordo il giorno in cui ci hanno bombardati durante la guerra. Ma questa non lo è, non dobbiamo cedere alla paura”. E’ opportuno ricordare anche quanto avvenne negli anni di piombo, l’unità nazionale che non era solo il tentativo di Aldo Moro di unire Dc e Pci, ma era una sensazione palpabile nella società contro il terrorismo. Certo, quella mattina del 16 marzo 1978 a Montecitorio un paladino della democrazia come Ugo La Malfa disse che ci voleva la pena di morte per i brigatisti, ma fu lo sfogo di un attimo. L’esperienza della vituperata Prima Repubblica insegna che ci fu una reazione forte e unanime di fronte a un pericolo molto diverso da quello attuale, che andò ben oltre il caso Moro e che segnò un’epoca. Su un altro fronte, ancora più diverso per contesto storico e politico, si può ricordare la reazione che il 23 febbraio 1981 ebbero tre membri del Parlamento spagnolo quando il tenente colonnello Antonio Tejero entrò pistola in pugno nel goffo tentativo di un colpo di Stato: l’ex capo del governo Adolfo Suárez, il generale Gutiérrez Mellado e Santiago Carrillo, leader dei comunisti spagnoli, si rifiutarono di buttarsi a terra. L’immagine di Suarez placidamente seduto è diventata un’icona.

E in Italia? Se mai ci troveremo ad affrontare un’emergenza terrorismo di matrice islamica, potremo contare su un contegno del mondo politico paragonabile a quello di Lord Cormack o di Adolfo Suarez o si tenterà di speculare per recuperare voti? Mentre tutti sostengono a parole l’azione di forze dell’ordine e intelligence, è opportuno un esame di coscienza dei politici nazionali e locali.

(I VIDEO POST ATTENTATO JIHADISTA A LONDRA)

(LE FOTO DOPO L’ATTACCO TERRORISTICO A LONDRA)



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