“Un modello carbon free risponde alle necessità del pianeta che può ancora affrontare gli effetti dei cambiamenti climatici, garantirà alle future generazioni la possibilità di accesso alle risorse per soddisfare bisogni fondamentali oggi oggetto e teatro di guerre, causa di enormi problemi, come ad esempio quello dell’immigrazione, molto complessi da gestire”. La sezione sull’energia del Programma (in fieri) del Movimento 5 Stelle è stata la prima ad essere votata sulla piattaforma Rousseau ed è al momento quella più articolata.
Gianni Girotto (nella foto), senatore a 5 Stelle, membro della commissione Industria e punto di riferimento pentastellato sulle questioni energetiche, in una conversazione con Formiche.net, spiega come il Movimento intende sbarazzarsi dei combustibili fossili entro il 2050, perché si oppone al Tap e in che modo si passerà alle energie rinnovabili, in attesa del convegno “ENERGIA 5 STELLE: Dal fossile ad efficienza e rinnovabili. Quale via?” che si terrà lunedì 22 maggio in Senato.
Se si abbandona l’uso del carbone e del petrolio per la produzione di energia ci sarà un aumento dei consumi di gas per far fronte alla fase di transizione. Da dove si prende il gas necessario per sopravvivere alla transizione?
Se si intervenisse concretamente con politiche rivolte al contenimento dei consumi, all’incremento dell’efficienza energetica e dell’autoconsumo e alla transizione tecnologica, ad esempio avviando una riqualificazione energetica spinta degli edifici, potremmo ridurre la dipendenza dalle importazioni di metano con enorme sollievo per la bilancia dei pagamenti e aumentando la sicurezza per il paese.
Perché il M5S si oppone così duramente al Tap?
L’opposizione al Tap è motivata da diversi aspetti. Basta riflettere sul Rapporto del prestigioso Oxford Institute for Energy Studies, che giudica il mega progetto del gasdotto inutile sia da un punto di vista economico che disastroso da un punto di vista ambientale. Se si volesse tener fede agli accordi internazionali sul clima e l’energia il Tap è considerabile un’opera inutile. Vi è un mio specifico documento e video apposito sull’argomento reperibili sul web.
Il Movimento “propone di cessare immediatamente le nuove esplorazioni, migliorando al tempo stesso il processo di controllo sulle attività estrattive in corso”. Eliminando “immediatamente” tali risorse energetiche provenienti dal territorio italiano, come si intende far fronte ai consumi, nel breve periodo?
Lo sversamento incontrollato di 450mila litri di olio dal COVA-ENI in Basilicata, da cui si estrae circa l’80% del petrolio Nazionale in terra ferma, è solo l’ultimo esempio che giustifica la nostra posizione. Abbiamo avuto notizie ufficiali dello sversamento a gennaio 2017 ma abbiamo saputo solo pochi giorni fà da ENI che invece avveniva da agosto 2016. Il “Piano antinquinamento sversamento di petrolio” prescritto dall’A.I.A è partito con estremo ritardo producendo inquinamento delle falde sotterranee e del suolo esterno al COVA e a pochi metri dal fiume Agri e la diga del Pertusillo. Citiamo quest’ultimo gravissimo incidente per ribadire che per estrarre dal territorio nazionale il 2% circa del fabbisogno energetico stiamo compromettendo gravemente la salubrità dell’acqua utilizzata da milioni di cittadini ed in generale enormi porzioni di territorio, con gravi conseguenze per la salute e l’economia delle attività economiche locali.
Quindi cosa proponete per il settore petrolifero?
Il trend nazionale sui consumi di petrolio è in forte calo. Nel 1994 il petrolio copriva il 56% dei consumi di energia nazionale; nel 2015 solamente il 34,7%. Parallelamente alla riduzione complessiva dei consumi nazionale di energia, ogni anno il consumo nazionale del petrolio si è ridotto dell’1%. Tenendo presenti i numeri, la chiusura delle estrazioni petrolifere in Italia è un’azione fattibile con l’elaborazione di una exit strategy nel breve periodo.
Cosa succederà alle concessioni già rilasciate per lo sfruttamento dei giacimenti carboniferi e petroliferi italiani?
Nel prossimo quadriennio (2017-2020) scadranno 130 concessioni per un controvalore di canoni pari a 230 milioni. In Senato abbiamo presentato un disegno di legge contenente “Disposizioni per la tutela della salute e dell’ambiente e per la prevenzione dei rischi derivanti dalle attività di prospezione, ricerca e produzione di idrocarburi liquidi e gassosi” nel quale sono previsti incrementi degli oneri e delle aliquote. Certamente il governo potrebbe rivedere la necessità per il loro utilizzo. Ripeto, parliamo di una percentuale sui consumi nazionali estremamente ridotta. Il problema reale invece è quello di ridurre l’approvvigionamento dall’estero del gas. Sulle quali andranno fatti approfondimenti opportuni. Vanno tenute presenti anche le regole di mercato. Eolico e fotovoltaico stanno divenendo sempre più competitivi e nel prossimo decennio saranno più convenienti rispetto alle altre fonti fossili compreso il carbone. Ciò determinerà un’esclusione naturale delle fonti meno competitive.
Come scritto nel punto 5 del programma sull’energia, si prevede la riconversione e spostamento delle infrastrutture energetiche verso il settore della “generazione distribuita” Che significa?
È una previsione coerente con le direttive europee e in linea con il Clean Energy Package. Bisogna pensare ormai ad un modello in cui produttore (offerta) e il consumatore (domanda) partecipano attivamente al sistema energetico. E non a caso, su nostra sollecitazione, l’Agcm alcuni mesi fa ha invitato Governo e Parlamento ad intervenire per cambiare le regole presenti che ostacolano la generazione distribuita e favoriscono invece la produzione di energia centralizzata. In Italia, i provvedimenti di Governo ed Aeegsi (Autorità per l’energia elettrica il gas e il sistema idrico, ndr) viceversa hanno applicato le direttive europee mantenendo i privilegi dei grandi produttori e dei distributori ostacolando di fatto il cammino della transizione energetica.
Praticamente, come si intende procedere? Con che tempi? E quante risorse economiche?
È difficile indicare i tempi quando non è possibile deciderli. In Parlamento dal 2013 abbiamo presentato diverse proposte. Se venissero approvate si potrebbe procedere da subito. Ad esempio parliamo dei sistemi di distribuzione chiusi. La direttiva europea li regola ma in Italia sono di fatto ostacolati. Aprire a questa tipologia di reti con l’impiego di nuovi impianti alimentati da fonti rinnovabili comporterà nel breve periodo la necessità di un gettito modesto che non deve essere scaricato sui consumatori più deboli. Un costo che verrebbe recuperato dei numerosi benefici in termini ambientali, sanitari, fiscali ed occupazionali e che potrebbe essere sostenuto eventualmente anche dalla fiscalità generale.
La migrazione verso le rinnovabili imporrà la costruzione di impianti (eolici, solari, etc) con un certo impatto ambientale. Come e da chi verranno scelte le zone in cui costruirli?
L’argomento è stato posto in consultazione agli attivisti del M5S. La stragrande maggioranza si è espressa favorevolmente alla realizzazione di impianti destinati alla produzione di energia rinnovabile tramite l’utilizzo dei terreni di uso marginale. L’energia è materia concorrente. Per cui le scelte ricadranno su Governo ed Enti territoriali.
Scrivete nel programma: “Addio al petrolio anche nei trasporti e in agricoltura entro il 2050”. È realizzabile davvero? È realistico?
Siamo consapevoli che il nostro obiettivo al 2050 è molto ambizioso. Ma siamo fortemente motivati e responsabilizzati in qualità di rappresentanti politici. Un modello carbon free risponde alle necessità del pianeta che può ancora affrontare gli effetti dei cambiamenti climatici, garantirà alle future generazioni la possibilità di accesso alle risorse per soddisfare bisogni fondamentali oggi oggetto e teatro di guerre, causa di enormi problemi, come ad esempio quello dell’immigrazione, molto complessi da gestire. Ormai ci sono molti scenari che condividono le nostre traiettorie per uscire dalle fossili. Perfino Enel ha annunciato al 2050 niente più fossili. Di fatto ormai il mercato è più avanti di quello che l’opinione politica riesce a comprendere. È opportuno ricordare che il rapporto McKinsey & Company: “Transformation of Europe’s power system until 2050. Including specific considerations for Germany” del 2010 valutava già allora possibile il 100% di rinnovabili per coprire al 2050 tutti i consumi elettrici di tutta la UE, sulla scorta di un’indagine condotta tra gli operatori del settore elettrico e gli istituti di finanziamento. Il raggiungimento di questo obiettivo avrebbe una ricaduta molto significativa sulla riduzione dei combustibili fossili, che a tutt’oggi rappresentano ancora la produzione maggioritaria di elettricità nella UE.
In quali altri Stati ci sono programmi del genere?
Svezia e Danimarca vorrebbero diventare totalmente “Fossil Free” entro il 2050. E pure Svizzera, Germania e Francia, in cui Macron ha presentato il nuovo Governo con un superministero sulla transizione ecologica, hanno presentato Strategie al 2050 molto interessanti anche se meno ambiziose del nostro programma. D’altronde questa è anche una sfida. Se saremo capaci di sviluppare prima rispetto ad altri il know-how i nostri settori produttivi diventeranno punti di riferimento e buone pratiche verso altri. Altrimenti perderemo anche questa opportunità.
Come si intende far fronte ai costi economici e occupazionali delle riconversioni di impianti e siti industriali?
Dobbiamo applicare concretamente la norma che chi inquina deve pagare. Oggi chi paga i costi dell’esternalità fossili che solamente in Europa ammontano a 300mld? Sono costi che non dovrebbero essere scaricati sulla salute dei cittadini ma su chi è causa dell’esternalità negativa. Sicuramente andrà definita una tassazione tipo carbon tax che disincentivi l’utilizzo di fonti fossili nel processo produttivo ed incentivi comportamenti e processi produttivi efficienti e che determinano una diminuzione degli sprechi e dei consumi. In molti casi comunque, chi investe in efficienza energetica e rinnovabili trova la convenienza economica, in particolare per la diminuzione del costo di approvvigionamento di energia, tra i più alti d’Europa. Queste tipologie di interventi non vanno ostacolate. Per questo è necessario un quadro delle regole chiaro. Prendiamo ad esempio come si è proceduto la riforma delle tariffe per i clienti non domestici. L’incertezza della sua applicazione ha bloccato molti investimenti su efficienza che viceversa avrebbero generato enormi benefici economici ed occupazionali.