La Libia e l’immigrazione sono temi che ci accompagneranno a lungo, ma, pur essendo numerosi gli attori interessati, ogni giudizio pronunciato in questo periodo assume anche una valenza elettorale se considerato dal punto di vista italiano. Ecco quindi che le polemiche sull’attività della Guardia costiera libica, sugli accordi stipulati dall’Italia e sulle oggettive nefandezze perpetrate in quel Paese (da ultimo, l’acquisto di schiavi documentato dalla Cnn) s’innestano nel dibattito a sinistra in vista di eventuali coalizioni.
Botta e risposta con l’Onu
L’attacco portato il 14 novembre all’Ue e all’Italia dall’Alto commissario per i diritti umani delle Nazioni Unite, il principe giordano Zeid Ra’ad al Hussein, è stato particolarmente duro e le repliche non sono riuscite a nascondere del tutto la sorpresa per i toni usati. “Patto disumano”, “oltraggio alla coscienza dell’umanità”, “inimmaginabile orrore patito dai migranti” sono alcune delle espressioni usate dal commissario Onu: in particolare è giudicata disumana la politica italiana, sostenuta dall’Europa, di consentire alla Guardia costiera libica di riportare a terra chi cerca di fuggire pur sapendo che va a finire in campi invivibili. In altri termini, fermare a ogni costo i flussi migratori. Subito gli avevano risposto il commissario all’immigrazione, Dimitri Avramopoulos; l’alto commissario per la politica estera, Federica Mogherini; il presidente del Parlamento europeo, Antonio Tajani: certo che sono condizioni scandalose, ma il confronto con le autorità e la presenza delle organizzazioni umanitarie puntano proprio a migliorare la situazione. Angelino Alfano, ministro degli Esteri, è stato più diretto: “Invitiamo chi si candida a dare lezione a dare più finanziamenti e più supporto organizzativo”. Il non detto è il solito: i flussi vanno fermati perché l’Italia e l’Europa non possono accogliere tutti. Nel frattempo, mentre Tajani annuncia una missione dell’Europarlamento in Libia dal 16 al 22 dicembre, la diplomazia cerca di ricucire: a Ginevra una delegazione Ue e l’ambasciatore italiano hanno incontrato rappresentanti dell’Unhcr sottolineando “la forte cooperazione tra Ue, Oim e Unhcr in Libia”.
Lo scontro a sinistra
L’ultimo esempio di una visione opposta del problema è stato il question time del 15 novembre alla Camera nel quale Arturo Scotto (oggi Mdp e già Sinistra italiana) ha chiesto conto al ministro dell’Interno, Marco Minniti, dei morti in mare del 6 novembre con scambi di accuse tra la Guardia costiera libica e l’ong Sea Watch, sostenendo che la soluzione è facile: l’Italia sospenda l’accordo con i libici. Minniti ha sottolineato la divergenza delle versioni tra libici e Sea Watch, pur confermando un centinaio di salvati, 5 morti recuperati e una cinquantina di dispersi, e ha ribadito “l’assillo di dover agire” nonostante la Libia non abbia mai firmato la Convenzione di Ginevra. Ma se l’Unhcr, l’agenzia per i rifugiati, e l’Oim, l’organizzazione per le migrazioni, stanno operando lì è perché sono state create le condizioni e soprattutto l’alternativa all’impegno dell’Ue e dell’Italia “non è consegnare ai trafficanti le chiavi delle democrazie europee”. Proporre, come fa Mdp, la revoca dell’accordo è una provocazione tale da rendere poco credibile un accordo elettorale che dovrebbe basarsi su programmi comuni. Significativa, invece, la dichiarazione di Sandra Zampa (Pd): grazie all’Italia l’Unhcr ha potuto visitare 28 centri di accoglienza libici su 29, 1.000 persone sono state ricollocate altrove e 9.353 sono stati i rimpatri volontari assistiti. Viste le immagini della Cnn, “questo non basta e le organizzazioni internazionali devono muoversi immediatamente perché l’orrore cessi”. Se la storica portavoce di Romano Prodi respinge il rimpallo di responsabilità tra Onu e Ue, è una conferma che il sostegno alla linea del governo su questo tema viene dalla grande maggioranza del Pd e che le posizioni come quella del ministro Graziano Delrio, da tempo silente sull’argomento, sono all’angolo.
Il ruolo delle milizie libiche
Avramopoulos sostiene che l’Europa sta uscendo gradualmente dalla crisi migratoria perché gli arrivi verso il continente sono scesi del 65 per cento dall’anno scorso, mentre i dati del Viminale al 15 novembre indicano un calo del 31,2 per cento verso l’Italia. Quel che è certo è che tutti sono appesi al complicato risiko libico nel quale le milizie sono parte fondamentale. L’intesa mediata dalla Russia tra le tribù del Fezzan e il governo di Fayez al Sarraj, come ha riportato la Repubblica, può davvero essere un passo decisivo per fermare legalmente i flussi migratori perché indica la strada di un accordo politico più ampio. Il capo del gruppo di contatto russo, Lev Dengov, ha spiegato al quotidiano che aiutare il Fezzan significa danneggiare l’economia basata sul traffico di esseri umani, che è lo scopo dell’accordo stilato da Minniti con i sindaci di quell’area. Il ruolo determinante delle milizie è approfondito nell’ultimo report del Cesi, il Centro studi internazionali, secondo il quale il peso reale del generale Khalifa Haftar sarebbe inferiore a quanto da lui sostenuto.
Un conto è aver stretto accordi con i Warfalla o con importanti tribù dell’Ovest per attaccare Tripoli, un altro (scrive Lorenzo Marinone nel report) è compattare i vari gruppi armati per lanciare un’offensiva: anche le milizie temono troppo potere nelle mani di Haftar e quindi lo stallo potrebbe convincerne molte a confrontarsi su basi politiche e non più militari avendo come obiettivo principale la difesa dei propri interessi. E’ la stessa Onu di cui fa parte l’Unhcr che con l’inviato Ghassam Salamé non riesce a mettere d’accordo Tripoli e Tobruk e forse le notizie che arrivano da Mosca sono l’unica buona notizia di questi giorni.