Entrare in Europa in aereo, senza affidarsi a viaggi della speranza che si trasformano puntualmente in una colonna funebre. E poi iniziare un percorso di integrazione sul territorio, nel rispetto delle leggi e la cultura del Paese ospitante, grazie alla solidarietà di volontari, famiglie, parrocchie. È questo il fine ultimo dei corridoi umanitari, il progetto pilota portato avanti già da alcuni anni dalla Comunità di Sant’Egidio grazie a un protocollo di intesa con il governo italiano, la Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia e la Tavola Valdese. Dal 2016 sono 1600 i rifugiati siriani che hanno trovato una via di ingresso sicura in Europa grazie ai corridoi. Numeri irrisori, certo, se confrontati con le dimensioni della crisi migratoria che non è certo confinata a chi scappa dalla guerra. Se il supporto delle istituzioni passa dalle parole ai fatti però non è impossibile espandere su larga scala l’esperimento. Offrendo ai rifugiati una soluzione, fra le tante, per non finire il loro viaggio sui fondali del Mediterraneo. Angela Merkel ed Emmanuel Macron, fra gli altri, hanno già benedetto l’iniziativa incontrando il fondatore della Comunità Andrea Riccardi.
E adesso anche dal nuovo governo italiano giungono segnali di fiducia. Ai microfoni di Formiche.net il ministro dell’Interno Matteo Salvini ha parlato chiaro: “chi si vedrà riconosciuto lo status di rifugiato potrà venire in Europa con i corridoi umanitari sul modello della Comunità di Sant’Egidio”. Impegno solenne o semplice boutade? “Formalmente il governo non ha fatto nessun passo avanti, non abbiamo avuto un colloquio approfondito sul tema, solo rassicurazioni” ci spiega il presidente della comunità Marco Impagliazzo. “Ho incontrato Salvini al Quirinale durante il ricevimento per la Festa della Repubblica e mi ha detto di essere d’accordo con i corridoi. Due settimane fa l’ho invitato ad accogliere un gruppo di persone provenienti dal Corno d’Africa e ospitate dalla Cei. Non è venuto perché c’era un dibattito alla Camera, ha inviato un prefetto”.
Impagliazzo, che è anche docente di Storia contemporanea all’Università di Roma Tre, non nasconde la sua soddisfazione per le aperture del ministro. Ma auspica al tempo stesso che il governo dia una mano concreta per ampliare i corridoi. “Fino ad oggi sono arrivati 1200 profughi dalla Siria e 350 dal Corno d’Africa. Per iniziare a parlare di numeri importanti dobbiamo arrivare rispettivamente a quota 2000 e 500. Dovremo discutere con Salvini di rinnovare questo protocollo che riguarda persone in stato di vulnerabilità, a partire da donne e bambini”. Il progetto non prevede l’uso di fondi pubblici, precisa il presidente della comunità. “Non c’è nulla di pubblico. La Cei contribuisce con i fondi dell’8X1000 e lo stesso vale per le chiese valdesi, noi invece attraverso collette interne. Il carico maggiore ricade però su famiglie e parrocchie che scelgono liberamente di farsi carico delle spese di queste persone per i primi due anni, per poi curare l’inserimento nella società dei migranti. Ad oggi ci sono già 15 regioni italiane che hanno completato l’inserimento con successo”.
Aprire dei corridoi umanitari non significa far partire tutti indiscriminatamente, anzi. Chi arriva in Europa attraverso i corridoi deve passare il vaglio di rigidi controlli nel Paese di partenza. Nei consolati, nelle ambasciate a Beirut o Addis Abbeba le forze di polizia italiane verificano i requisiti per lo status di rifugiato e stilano una lista di chi può partire. “Ci si può fidare della nostra polizia” rassicura il professore. Un po’ meno invece dei centri già presenti in Paesi dell’africa subsahariana come il Niger. A Formiche.net Salvini ha detto di voler installare “direttamente in Niger, Mali e Chad centri di identificazione per i rifugiati”. La strada è quella giusta, risponde Impagliazzo, purché questi centri siano sottoposti a severi controlli: “è necessario verificare con quali criteri sono organizzati, se rispettano gli standard europei e danno accesso all’Unhcr”.
I primi risultati del progetto pilota sono rassicuranti. L’insegnamento della lingua italiana è prerequisito e ingrediente chiave per integrare i rifugiati e avviarli al mondo del lavoro. È da sempre un punto fisso della mission della Comunità, che infatti gestisce decine di scuole di lingua in Italia (sette solo a Roma). E deve esserlo anche per il fondatore Andrea Riccardi, che non a caso presiede la Società Dante Alighieri, che dal 1889 tutela e diffonde la lingua italiana nel mondo. I primi anni di sperimentazione hanno dato i loro frutti. “C’è una famiglia siriana, padre, madre e due figli piccoli” racconta Impagliazzo, “la bambina è arrivata con un tumore all’occhio, è stata ricoverata al Bambin Gesù e ora è in via di guarigione. La madre è una biologa, ha imparato la lingua italiana nelle nostre scuole e ora è stata assunta proprio dall’ospedale che ha curato la figlia”.
Pensare che i corridoi umanitari possano sostituirsi in toto al flusso di migranti è una semplice illusione. Fra le altre soluzioni Impagliazzo ne individua due prioritarie. “Dobbiamo allargare i ricongiungimenti famigliari, che sono la via maestra per l’integrazione. Se un migrante si ricongiunge con una parte della sua famiglia in Italia che già conosce la lingua, la cultura e le leggi del Paese ha una chance concreta di integrarsi”. I requisiti previsti dalla legge sono severissimi: il ricongiungimento è permesso solo ai congiunti o ai figli minori. Una disposizione che mal si sposa con la cultura dei Paesi di provenienza. “Queste persone hanno famiglie allargate e non fanno distinzioni fra cugini o fratelli. Con queste regole è tutto più difficile”.
Una seconda strada da battere è quella delle quote europee, conclude Impagliazzo. Che sul punto non nasconde di bocciare Salvini e sposare la linea Boeri. In Italia non c’è un’emergenza immigrazione, ma demografica, dice: “Paesi come Germania e Italia sono demanding, hanno bisogno di nuove persone per sopperire alla crisi di tanti settori come l’impresa, l’aiuto alla persona, la sanità”.