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Antonio Pappano racconta la sua vita in musica a Serena Bortone. Le foto di Pizzi

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Antonio Pappano e Paolo Baratta
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Antonio Pappano e Paolo Baratta
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Antonio Pappano
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Antonio Pappano e Maddalena e Marina Letta
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Antonio Pappano e Maddalena e Marina Letta
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Antonio Pappano e Maddalena e Marina Letta
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Antonio Pappano e Maddalena e Marina Letta
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Antonio Pappano e Maddalena e Marina Letta
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Marina Letta e Antonio Pappano e Maddalena Letta
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Serena Bortone e Antonio Pappano
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Serena Bortone e Antonio Pappano
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Serena Bortone e Antonio Pappano
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Serena Bortone e Antonio Pappano
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Serena Bortone e Antonio Pappano
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Serena Bortone e Antonio Pappano
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Serena Bortone e Antonio Pappano
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Antonio Pappano e Serena Bortone
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Antonio Pappano e Serena Bortone
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Antonio Pappano e Serena Bortone
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Antonio Pappano
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Antonio Pappano
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Serena Bortone e Maddalena Letta
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Serena Bortone e Maddalena Letta
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Maddalena Letta, Paolo Baretta e Marina Letta
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Serena Bortone e Antonio Pappano
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Serena Bortone e Antonio Pappano
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Serena Bortone e Antonio Pappano
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Serena Bortone e Antonio Pappano

Antonio Pappano, direttore emerito di Santa Cecilia, ha firmato la sua autobiografia, “La mia vita in musica”, edita da Marsilio, volume presentato ieri all’Auditorium della Musica di Roma.

La quarta di copertina del libro:

«Con un cognome come Pappano non farai mai carriera». Questo si sentì dire agli esordi colui che è oggi tra i direttori d’orchestra più noti e celebrati al mondo. Della determinazione a migliorarsi appresa dai genitori, emigrati italiani a Londra da un piccolo paese della Campania, Antonio Pappano ha fatto una regola di vita che lo ha portato a dirigere nei maggiori teatri, da Oslo a Bruxelles, da Parigi a New York. In questa toccante testimonianza sul potere della musica di trasformare l’esistenza, si volta indietro per tracciare un primo bilancio del cammino fatto finora, tra successi e delusioni, amicizie e collaborazioni, scommesse folli e colpi di fortuna. Assecondando i movimenti dei ricordi, come in una sinfonia, racconta dell’infanzia e dell’emozione della prima opera diretta, del dialogo costante con le note di Wagner, Verdi, Mozart, Rossini fino ai compositori contemporanei, svelando i segreti e le lezioni sempre nuove che riesce a trarre da ogni esecuzione e dalla conoscenza minuziosa delle opere e della loro storia. Apre squarci illuminanti sul «dietro le quinte», le prove e i contrasti prima di ogni spettacolo, in una coinvolgente incursione nella memoria che colpisce per la vitalità con cui ritrae le figure di sommi interpreti, come Plácido Domingo, e direttori del calibro di Daniel Barenboim. L’esito di questo meraviglioso viaggio di scoperta è la voglia di restituire almeno in parte quanto ricevuto, insegnando ai giovani, affinché attraverso la musica possano apprendere la collaborazione, l’ascolto, la capacità di intonarsi agli altri. Dalle pagine emerge immutata la stessa passione di quel bambino che accompagnava il padre al pianoforte e che ha ancora tanto da imparare, perché – scrive l’autore – «non importa quante volte ti chiameranno “maestro”, non devi mai smettere di crescere».

(Foto: Umberto Pizzi-riproduzione riservata)


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