Antonio Pennacchi è morto a 71 anni per un malore mentre era al telefono nella sua casa di Latina. È stata la moglie Ivana ad accorgersi che qualcosa non andava quando il marito improvvisamente ha smesso di parlare.
Era nato a Latina 10 settembre 1950, figlio di coloni della bonifica dell’Agro Pontino (madre veneta e padre umbro). Aveva due figli, Marta e Gianni, che si chiamava come il fratello, protagonista del suo romanzo “Il fasciocomunista”, portato al cinema da Daniele Luchetti con “Mio fratello è figlio unico”, attivista di Servire il Popolo e giornalista per La Stampa e Il Giornale. La sorella Laura è un’economista che fu sottosegretario al ministero dell’Economia nei governi Prodi I e D’Alema I.
Dopo un’adolescenza tra i neofascisti, a 17 anni viene cacciato dal Msi locale e si trova in mezzo al ’68. Come dice lui, “è andato dove facevano casino”. Segue passaggio al movimento studentesco; marxisti e leninisti; Servire il popolo; Psi, Pci, Cgil. Prima sindacalista che operaio, lavoro che ha imparato a strada facendo. A 40 anni si iscrive all’università e si laurea in Lettere.
Il suo romanzo d’esordio, “Mammut”, ricevette 55 rifiuti da 33 editori. “Mi sono serviti per riscriverlo e imparare. Io comunque lo lo spedivo anche più di una volta dopo averne cambiato il titolo o il nome dell’autore”. Fu pubblicato nel 1994 da Donzelli, che poi diede alle stampe “Palude” e “Una Nuvola Rossa”.
Con Mondadori nel 2003 esce “Il fasciocomunista”, ma è nel 2010 che ottiene la consacrazione nazionale con “Canale Mussolini”: “Bello o brutto che sia, questo è il libro per cui sono venuto al mondo. Fin da bambino ho sempre saputo di dover fermare questa storia e raccontarla prima che svanisse. Nient’altro. Solo questo libro (…). L’ho scritto sotto dettatura dei miei morti. Di mio padre e mia madre, della gente che ho conosciuto e che non c’è più. Loro sono come i penati dell’antichità. Le loro voci mi arrivano dentro e a volte mi fanno piangere”.
Per approfondire la vita, il carattere e le opere di uno scrittore unico, le interviste di Antonio Gnoli e Candida Morvillo: “Mi ammalo subito dopo ogni libro importante. È il mio tributo alla letteratura. Dopo Mammut ho fatto due ernie del disco. Subito dopo Palude ci fu un primo infarto. Immediatamente dopo la prima stesura de Il fasciocomunista giunse il secondo infarto e mi misero tre by pass. Poi mi ruppi una vertebra”.
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